Pregi e difetti della vita di provincia. Livia Ferracchiati rimanda al pubblico del Teatro Morlacchi una lucida indagine sulla comunità di un piccolo centro, lasciando al pubblico la libertà di coglierne la presenza rassicurante o il lato “costrittivo”
di Francesca Cecchini
“La vita è una mossa, dimentico me stessa. Sono la tua donna piena d’ombre. Spingo la nave in rotta, sento una fitta al cuore. Non ho paura voglio solo andare. E dentro le tue mani sono una luna piena”. (“Luna piena” Nada)
Stella, Elisa, Caroline e Michele, questi i nomi dei protagonisti di Todi is a small town in the center of Italy, in scena al Teatro Morlacchi di Perugia fino al prossimo 7 maggio. Uno spettacolo ambientato in una città di provincia che nel caso specifico, come si legge nel titolo, è rappresentata da Todi, in cui è nata la regista Livia Ferracchiati, ma che rimanda al pubblico l’immagine di un qualunque altro centro abitato.
In parallelo due storie: quella dei comprimari che si alternano sul palcoscenico e quella raccolta in un docufilm proiettato alle loro spalle, cui immagini non solo combaciano con paure e sentimenti dei ragazzi in scena, ma, a tratti, prendono vita propria, rendendo i cittadini tuderti intervistati nel filmato sui pro e i contro della realtà cittadina protagonisti a loro volta. Ciò che viene descritto nelle immagini rimanda al vissuto in scena (e viceversa).
Quella che appare come una vita quotidiana serena, nasconde, fra le righe, la realtà oggettiva di una piccola comunità (città o quartiere di periferia, collocabile ovunque). In questo spazio ristretto quattro amici crescono insieme. Il legame è forte non solo tra loro, ma anche con i luoghi circostanti. Luoghi che, in questa “città a misura d’uomo” rischiano di chiudere Stella, Elisa, Caroline e Michele in una sorta di gabbia dorata. E come in ogni società fisicamente e moralmente limitata da pareti invisibili, la gente osserva, mormora, si erge a giudice e carnefice delle azioni del suo vicino, del suo amico, dello sconosciuto che entra a farne parte.
Cresciuti condizionati dalla comunità, di cui anche loro diventano specchio e parte integrante, i tuderti in scena vivono nella monotonia del “paese” e, pur avendo occhi per vedere le variopinte sfumature dei colori, sembrano non riuscire a cogliere altro che tonalità piatte. Valga per questo il reiterare delle azioni. Seppur la provincia può risultare, per certi versi, nel suo quotidiano, limitante e opprimente, d’altro canto è un “luogo sicuro”, forse l’unico, in cui la certezza del ripresentarsi degli stessi comportamenti, offre un caldo abbraccio da cui è difficile discostarsi. I ragazzi sul palcoscenico tentano di elevarsi ed emanciparsi ma il timore di vedere cosa c’è al di là del confine, frena gli impulsi. L’atteggiamento “vissuto” di Caroline e le sue opinabili relazioni, la finta borghesia di Stella, la gioiosità dietro cui si nasconde Michele sono sintomi di paura. I tre rimangono inevitabilmente chiusi (e schiacciati, seppur non necessariamente devastati) nella loro vita, in cui si crogiolano come un neonato tra le braccia della madre. L’unica che riesce ad osare e ad aprire la porta della “gabbia”, con l’escamotage di una crisi bipolare, è Elisa. Ma il terreno non è fertile e la “fuga” verso l’esterno è lenta, sicuramente non condivisa dai suoi amici che, terrorizzati dal perdere un punto fermo del loro puzzle vitale, cercano (egoisticamente) di trattenerla.
Ad accompagnare questo viaggio psicologico e provocare la frattura è l’uomo con il microfono (Ludovico Rohl), un intervistatore che irrompe nelle loro vite e pone delle domande che li costringeranno a confrontarsi con il loro amato “grigiore”.
E, mentre scorrono le immagini, la visione proiettata sul muro arriva lentamente ad invadere lo spazio scenico schiacciando gli attori sulla parete e portando la platea alla conclusione che tutte le loro azioni sono in qualche modo determinate dalla presenza della comunità intorno a loro.
Se la scelta registica, dunque, è quella di offrire una visione distaccata della realtà, un documento pratico e senza pregiudizi sulla vita di provincia, lo scopo è ben riuscito perché la Ferracchiati ne indaga (e offre al pubblico) scorci (fisici e morali) precisi, concreti, senza cadere mai in banalità di giudizio. Ciò che ne esce per lo spettatore è un intenso momento di riflessione. Nel quadro descritto, a nostro parere, ognuno di noi ritrova facilmente la sua “small town” ed è libero di riviverne sensazioni, fastidi, paure, desideri e, per chi ha deciso di aprire quella porta, il dolore (o meno) del distacco.
Todi is a small town in the center of Italy scritto e diretto da Livia Ferracchiati, drammaturg Greta Cappelletti, con Caroline Baglioni, Michele Balducci, Elisa Gabrielli, Stella Piccioni, Ludovico Röhl, aiuto regia, movimenti scenici e costumi Laura Dondi, scene di Lucia Menegazzo, ideazione luci di Emiliano Austeri, consulenza illuminotecnica di Giacomo Marettelli Priorelli, riprese e montaggio video a cura di Brando Currarini e Ilaria Lazzaroni, produzione Teatro Stabile dell’Umbria/Terni Festival con il sostegno di Indisciplinarte e Associazione Demetra in collaborazione con compagnia The Baby Walk.