La passione di Cristo si fonde con la fragilità dell’uomo contemporaneo in Radio Golgota. Occhisulmondo rimanda al pubblico un suggestivo viaggio introspettivo nell’animo umano, accompagnandolo in una serie di quadri immaginari tra vita quotidiana e surrealtà. A parlarcene è il regista Massimiliano Burini
di Francesca Cecchini
Un lavoro che si ispira a Il Libro della Passione di José Miguel Ibáñez Langlois quello della compagnia Occhisulmondo che è tornata di recente al Teatro Bertolt Brecht di Perugia con una nuova produzione, Radio Golgota. Lo spettacolo interpretato dal danzatore d’eccellenza Samuele Cardini e da uno degli attori più apprezzati da critica e pubblico in Umbria, Francesco “Bolo” Rossini, ha offerto al pubblico un interessante parallelo tra le ultime ore di vita di Gesù Cristo, permeate di grande sofferenza, e la condizione di fragilità dell’uomo contemporaneo (un viaggio introspettivo già iniziato, per certi versi, con IoMioDio). Attraverso un corpo di un’affascinante imperfetta perfezione si è riuscito a coglierne analogie, incertezze e paure seppur ci è apparso forse eccessivo l’uso del gioco del suono che, di volume audio troppo alto, ha rischiato, secondo noi, di distrarre lo spettatore dalla scena e interrompere il contatto suggestivo che si era creato sin dall’inizio tra platea e attori. A guidarci all’interno di questa performance molto intensa è il regista Massimiliano Burini che in merito alla scelta del suono dirompente ci spiega che “l’audio è sicuramente forte e lavora su frequenze molto basse. Frequenze scelte appositamente per “scuotere” la platea con vibrazioni che colpiscono il basso ventre e, quindi, danno una sensazione opprimente a chi le ascolta”. Un escamotage per “mettere il pubblico nella stessa condizione di un uomo che soffre”. La sofferenza del danzatore rispecchia, dunque, quella dello spettatore e viceversa. “Una scelta, se vuoi, un po’ rischiosa perché chi viene a teatro non vuole necessariamente essere coinvolto, ma vuole osservare”.
Il lavoro è giovane e non può che crescere visto i presupposti.
“È uno spettacolo delicatissimo ed essendo tutto live lavora su livelli tecnici molto alti. Ha bisogno di un suo tempo. Anche la scenotecnica è complicata e richiede un’estrema costruzione e un lavoro nostro e dei macchinisti molto lungo, stessa cosa per l’illuminazione”.
Uno spettacolo di grande intensità, forse di nicchia, da cui emerge evidente un grande lavoro di ricerca.
“È uno spettacolo sicuramente non ‘comune’ che vuole lavorare e vuole sperimentarsi su dei codici nuovi, contaminati perché il teatro ha bisogno di cambiare. E se non cambiamo noi, non lo farà mai il pubblico”.
Spezzare, dunque, uno schema classico e sperimentare…
“Sì. E ciò grazie a chi ha avuto il coraggio di investire su questa nostra sperimentazione. Non c’è mai stato chiesto di fare un lavoro e di avere dei risultati – passatemi il termine – ‘consolatori’. Non perché i nostri precedenti progetti lo siano, tutt’altro. Gli altri lavori sono però ancora in linea con quello che è il rapporto visivo con il pubblico e rimangono all’interno di un contenitore accessibile. Radio Golgota rompendo degli schemi, che sono poi gli schemi che le persone hanno finora visto, soprattutto in Umbria, chiede al pubblico di fare un passo in più. Quello di diventare a sua volta regista. Di costruire. Di lasciarsi trasportare”.
Ci sembra che gli spettatori non abbiano fatto fatica a lasciarsi trasportare, probabilmente anche grazie al gioco di luci e di suoni molto coinvolgente. La linea narrativa, tra l’altro, non era difficile da seguire.
“Sì, la linea drammaturgica non ha voluto essere troppo lontana da quello che era il percorso della Passione di Cristo. Nell’aspetto visivo si riesce a seguire bene perché si conosce la storia. Ma è da un punto di vista della comprensione del segno che scatta il livello per il pubblico. Uno scatto non violento, perché ciò che si chiede è semplicemente di non cercare di capire e tradurre per forza ciò che io ho voluto esprimere con un quadro di immagini piuttosto che con un altro. Le immagini devono depositarsi dentro le persone per aiutarle a farsi trasportare in un immaginario in cui possano ricostruire una propria visione personale”.
Della scenografia mi ha colpito molto l’asimmetria degli oggetti, nello specifico del tavolo e delle sedie. Ha portato il mio immaginario a “vedere” un gioco d’inversione dei ruoli e una sensazione di faticosa ascensione del Cristo, dell’uomo, trattenuta dagli elementi terreni.
“Francesco Marchetti ha interpretato a meraviglia il lavoro strutturale. Nel lavoro del tavolo e delle sedie, che rappresentavano la scena dell’Ultima Cena, ha visto l’elemento del legno del falegname, quindi, della povertà. L’elemento della verticalità è nel tavolo che, come per magia, va verso l’alto grazie all’asimmetria. È chiaro che l’elemento ha un valore nella scena ma allo spettatore, come ti dicevo prima, non è richiesta un’immediata comprensione. Sarebbe una violenza. L’intento dello spettacolo è quello di portare il pubblico a guardare, quindi, a partecipare, a leggere ciò che in quel momento sta avvenendo e poi, in seconda battuta, nella fase di deposizione, a codificare e comprendere liberamente ciò che vuole”.
Radio Golgota è il primo di tre capitoli.
“Vogliamo indagare sul sacro e il tema è complesso. In questo primo capitolo ciò che abbiamo subito immaginato è stata la scelta drammaturgica di non fare la classica rappresentazione del sacro. In teatro non ha senso. Ho voluto destrutturare l’opera. L’effetto che voglio ricostruire è che dentro le persone che guardano si crei il sacro, perché per me questo esiste negli occhi di chi lo guarda. Volevo inoltre distogliere l’attenzione dalle immagini iconografiche della nostra vita quotidiana. Scoprire ciò che è ‘più alto’ è impossibile se non liberiamo il nostro corpo o la nostra mente da preconcetti”.
Valga per questo la scelta del danzatore. Burini voleva un corpo che non apparisse come l’iconografia ci rappresenta quello del Cristo. Voleva l’uomo che incrociamo per strada tutti i giorni. Una figura dal corpo statuario avrebbe infatti distrutto la certezza dello spettatore di poter riconoscere il Cristo che voleva, togliendo, a nostro parere, tutto il significato a Radio Golgota. E sul palcoscenico, anche noi abbiamo scelto il nostro uomo, quello che volevamo, suggestivamente vestito della sua (nostra) nudità, della sua (nostra) dignità e di un linguaggio (il suo) forse un po’ ermetico ma senz’altro comprensibile e tanto coinvolgente da rievocare in noi la stessa passione dell’individuo comune.
Altro aspetto che ci ha positivamente colpito è stato l’entrata in scena del regista al termine dello spettacolo, ai margini del palco, in costume da macchinista. Ai nostri occhi è apparso in un duplice ruolo: quello un dio fatto uomo che dall’alto (o dal lato) manovra i fili della storia e quello di un semplice individuo imperturbabile e freddo che, probabilmente non credente, osserva oggettivamente la scena senza rimanerne minimamente colpito (non necessariamente superficialità, più probabilmente scetticismo e realismo).
“Cristo in croce ha due centurioni ai suoi piedi in attesa che lui risorga o muoia. Questa è l’iconografia classica. In scena abbiamo un uomo davanti ad un qualcosa che rappresenta forse il Cristo e due tecnici in attesa della fine dello spettacolo. Iconografia contemporanea. Qual è allora oggi il luogo del sacro? È il teatro. Chi è il Cristo nel contemporaneo oggi? È l’artista perché s’immola, si fa messaggero, si fa attraversare da questo qualcosa affinché le persone (in platea) possano vedere qualcos’altro. La stessa cosa che ha fatto Cristo. Ci sono dei macchinisti, dei tecnici, che lavorano alla struttura. Ad un certo punto crolla il teatro, smontano tutto perché la finzione finisce e come due miscredenti, non credenti, guardano l’artista come per dire… Allora? È finito? Andiamo?”.
Radio Golgota liberamente ispirato a Il Libro della Passione di J. M. Ibáñez Langlois, drammaturgia di Daniele Aureli e Massimiliano Burini, regia di Massimiliano Burini, con Samuele Cardini e Francesco “Bolo” Rossini, drammaturgia sonora live di Nicola Fumo Frattegiani, drammaturgia e regia video live di Matteo Svolacchia, consulenza videomapping Mattia Maiotti, scene di Francesco Marchetti “Sky”, maschera a cura di Mariella Carbone, disegno luci di Gianni Staropoli, foto Matteo Fiorucci e Andrea Ulivi, produzione Occhisulmondo, Versiliadanza, Teatro Fontemaggiore Centro di Produzione con il sostegno di MiBACT, Regione Toscana, Comune di Firenze.
Foto di Andrea Ulivi