L’universo femminile si mostra alla platea in tutte le sue sfaccettature. Intensità e fragilità si fondono nelle donne che dividono la “cella 27”. Lo spettacolo del laboratorio teatrale San Matteo degli Armeni diretto da Francesco “Bolo” Rossini arriva su palco del teatro della Filarmonica di Corciano. Proprio il regista ci spiega il percorso seguito fino alla realizzazione del progetto finale
di Francesca Cecchini
Dopo il primo esperimento del 2016 con “Brancaleone”, il Laboratorio teatrale San Matteo degli Armeni ha proposto lo scorso anno “Cella 27 – Donne dentro”, storie di donne e uomini che vivono loro malgrado la cattività della detenzione. Portata in scena in occasione della manifestazione estiva Teatro in Piazza negli ambienti dell’ex Fatebenefratelli di Perugia, la performance arriva sul palcoscenico del teatro della Filarmonica oggi (10 marzo) alle ore 17.30 e alle 21.15. Giunto al suo terzo anno, il percorso laboratoriale è guidato dall’attore e regista Francesco “Bolo” Rossini. Durante l’elaborazione del progetto, ci spiega quest’ultimo, si sviluppano diversi tipi di attività. Fra le altre, ha proposto anche la visione di “Nella città l’inferno” di Renato Castellani, con Anna Magnani e Giulietta Masina, film post neorealista ambientato in un carcere femminile di Roma. Il gruppo di lavoro – prevalentemente femminile – rimane molto colpito dalla pellicola “in bianco e nero a tinte forti” e dalla trama che racconta di Lina, una giovane veneta (Giulietta Masina) che va a Roma in cerca di impiego. Lo trova presso una ricchissima famiglia, come domestica. Nella capitale conosce e si invaghisce di un ragazzo (Alberto Sordi) che con l’inganno le ruba le chiavi della casa padronale, che consegna a dei complici che la svaligiano. L’inconsapevole e ingenua ragazza del nord viene indagata e incarcerata. In cella con lei altre donne tra cui Egle (Anna Magnani) che la prende sotto la sua ala protettrice. Al termine del periodo di detenzione Lina uscirà dalla prigione notevolmente cambiata.
“Partendo da questo stimolo iniziale, ho dato dei compiti durante il laboratorio e abbiamo cominciato a lavorare sul tema della ‘colpa’, del ‘giudizio’ e del ‘danno’. Danno ricevuto e inferto agli altri”. Iniziano perciò a nascere “alcuni profili di personaggi, di donne in cattività, ognuna delle quali ha, durante lo spettacolo, un monologo che racconta la propria storia”. Le donne che vedremo nello spettacolo sono donne tradite dalla vita. Una di queste “ricalca un po’ la storia interpretata dalla Masina, viene ingiustamente accusata perché il marito l’ha coinvolta in un malaffare”. L’incipit è tratto da “Nella città l’inferno “ e anche la trama ma, per il resto, “i personaggi hanno le loro storie autonome e si discostano da quelle del film”. Storie di donne rielaborate, “ in alcuni casi inventate di sana pianta, in altri anche prese da testimonianze di detenute politiche”, seppur i passaggi sono ermetici e non ci sono riferimenti particolari alle figure che hanno realmente vissuto queste esperienze.
Il progetto nella scorsa estate fu tanto ben accolto in città che l’affluenza superò ogni aspettativa. Era a numero chiuso – così come oggi – che “potemmo accogliere solo circa sessanta, settanta persone. Altrettante rimasero fuori purtroppo”. Lo spettacolo itinerante si svolgeva sfruttando più spazi, spesso non convenzionali, fuori e dentro l’ex ospedale del centro storico. “C’era una dimensione molto ravvicinata”. Si passava infatti per l’ambiente esterno, si scendevano le scale fino a ritrovarsi direttamente nelle “segrete” e nel vecchio scantinato di pietra. Si entrava e si usciva, spiando anche furtivamente dentro la casa del direttore del carcere, “personaggio importante con molti lati oscuri”. Ora la messinscena, pur rimanendo itinerante, cambierà. Il palcoscenico rappresenterà solo la “cella 27”, ma il pubblico si ritroverà nella storia fin dal suo ingresso a teatro. La prima scena, un monologo maschile, “lo troviamo nel foyer, poi il pubblico si sposta, sale le scale ed entra finalmente nella sala. Lì parte la seconda scena a sipario chiuso”. Nel momento in cui si entra formalmente nella cella 27 il sipario si apre.
Quanti personaggi maschili vedremo in scena?
Ne vedremo due. In realtà ce n’è anche un terzo che non viene visto, ma solo riferito. Dei tre è l’unico che dà qualche speranza. L’unico positivo e che, all’uscita del carcere, accoglierà una delle detenute con la quale si è scambiato dei messaggi fuori della finestra”. Anche questa è un’altra chicca tratta dal film. Marietta (Cristina Gaioni), una delle donne rinchiuse in prigione nella pellicola di Castellani, sogna infatti di sposare un uomo che intravede dalle claustrofobiche finestre della prigione. Grazie a lui, una volta uscita, riacquisterà fiducia nella vita. “C’è questo sbirciare l’esterno da parte di chi è rinchiuso, il cercare di stabilire un rapporto”. Nel film quest’uomo, Piero, non era una presenza evocata, ma interpretato da Renato Salvatori. In scena Rossini porta invece Adone, il marito della ragazza ingiustamente incarcerata, “un malandrino che è però molto pavido e abietto”, e il direttore del carcere “che ha un suo vissuto molto equivoco per cui, man mano che si dipana la narrazione, lo vediamo prima in veste di duro burocrate, di funzionario statale, poi ne scopriamo i lati oscuri, irrisolti”.
Tutto questo è materiale elaborato dai partecipanti al laboratorio, il regista ha scritto invece”le parti di testo che sono di collegamento, di insieme, saggi temporali. L’identità dei personaggi l’hanno creata loro con l’improvvisazione e con la scrittura in scena dei propri monologhi”. Storie intense. Storie di uomini e donne chiusi in uno spazio limitato e limitante (non solo fisicamente). Il lento scorrere del tempo scandisce i minuti immaginari di una serie di personaggi di cui, durante il percorso laboratoriale, si è cercato di immaginare un passato che rimandi al presente dell’azione scenica. Ciò che ne è uscito è uno spaccato di vita quotidiana nella Cella 27.
In scena Gianluca Angelici (direttore del carcere), Olimpia Antonelli (Carla), Chiara Chiapperini (Contessa), Alessia Fabbri (Cheguevara), Sandra Fuccelli (Egle), Chiara Mancini (Elisa), Silvia Moriconi (Silvia detta Fatima), Rosita Papini (Elvira), Francesco Vitillo (Adone/Suor Celestina).
(fotografie di Rita Paltracca)