‘A night in Kinshasa’, il match Alì-Foreman, molto più di un incontro di boxe, un episodio di riscatto sociale che cambia la storia. Il racconto di Federico Buffa arriva stasera al teatro Lyrick di Assisi alle 21,15. Il giornalista ce ne parla prima dello spettacolo

di Barbara Maccari 

Perché la scelta dell’incontro Alì-Foreman per il suo spettacolo al Lyrick?

E’ un match epocale in un luogo epocale, il match più grande combattuto da Alì, quello che segna la sua carriera. C’è una sceneggiatura meravigliosa nella vita di quest’uomo e questo forse è il momento più alto. Un incontro che parla di riscatto sociale, di pace, di diritti civili, non una semplice lotta per il titolo mondiale dei massimi.

Il ruolo della musica in questo spettacolo: non un semplice accompagnamento ma un contrappunto.

Molto di più direi, con l’acustica del Lyrick i due musicisti, Alessandro Nidi e suo figlio Sebastiano, suoneranno con una forza che ti obbliga a stare al loro ritmo, quindi è molto più forte di un contrappunto. Loro sono i padroni del palcoscenico e io cerco di stargli dietro.

Lei, la regista Maria Elisabetta Marelli e la musica dei Nidi, come vi siete integrati?

La regista è estremamente meticolosa e c’è bisogno di enorme sincronia perché siamo tutti collegati. Io so perfettamente quando devo prendere una pausa, è come una piccola orchestra. Maria Elisabetta è intensissima, cura ogni dettaglio e non permette errori, ha una meticolosità che è stata trasferita poi nello spettacolo, speriamo il risultato sia apprezzato.

L’approccio al palcoscenico del teatro è differente da quello televisivo?

Sono come il mare e la montagna, completamente opposti, non c’entrano niente l’uno con l’altro, l’unica cosa che hanno in comune è il fatto che tu devi parlare, anche se poi il linguaggio della televisione è diverso da quello del teatro. Il teatro è molto più eccitante.

Sono anni che fa questo lavoro, c’è ancora emozione prima di entrare in scena o prima che si accenda una telecamera?

Mi ascolto il battito cardiaco e sono sempre dieci battiti sopra, anche se sono anni che faccio questo lavoro devo essere emozionato perché se non lo fossi probabilmente sbaglierei tutto.

Qual è la storia che avrebbe voluto raccontare ma della quale ha ricevuto un rifiuto?

In teatro al momento ne ho fatte talmente poche che non ho ancora fatto in tempo a prendere dei rifiuti, in televisione avrei voluto raccontare la storia di Drazen Petrovic, giocatore croato morto in incidente stradale quando era tra i migliori giocatori di basket europei di tutti i tempi e tra i primi ad affermarsi in NBA. Una morte scioccante di un uomo che stava veramente scrivendo la storia della pallacanestro. Se ne è andato in un modo infame, in un incidente stradale, non guidava lui ma la sua fidanzata che ora è diventata la moglie di Oliver Bierhoff (ex centravanti dell’Udinese e del Milan), lei si è spaventata per un restringimento della corsia, ha frenato sull’asfalto bagnato e sono andati contro un camion, lui è morto nell’impatto e paradossalmente i suoi compagni di squadra stavano volando sopra di lui perché lui si era fermato a Monaco per fare il viaggio con lei, per trascorrere un po’ di tempo insieme dopo l’Europeo. Per poterlo mettere nella bara lo hanno dovuto dissanguare perché non ci stava, troppo alto.

Dietro ad ogni storia c’è un grande atleta, chi l’ha colpita di più?

Io tendo a preferire i “maledetti”, quelli che avrebbero potuto e invece non è andata come volevano, tipo George Best, per due anni miglior giocatore del mondo ma poi trova il modo di rovinarsi. Nonostante sia morto tanti anni fa è ricordato tantissimo anche da chi non l’ha mai visto, è un campione particolare.

Foto di Paolo Calza