Sei spettacoli in scena al Morlacchi per la prima edizione di Perugia Teatro Festival, pronto ad invadere il capoluogo umbro da aprile e maggio sotto il segno dell’innovazione e della valorizzazione dei giovani talenti emergenti

“Le smanie di primavera” con questo titolo si appresta a prendere il via la prima edizione di Perugia Teatro Festival in scena al teatro Morlacchi di Perugia da domenica 8 aprile al 20 maggio. In cartellone sei spettacoli scelti appositamente per valorizzare giovani artisti emergenti. “Abbiamo voluto dare spazio ad un festival – sottolinea infatti Nino Marino, direttore del Teatro Stabile dell’Umbria – chiedendoci quali sono i registi, gli attori, gli scenografi di domani”. Un modo per avvicinare alla platea un pubblico di nuova generazione e consolidare la conoscenza con gli appassionati che già frequentano il teatro.

Ad inaugurare la rassegna sarà “Peter Pan guarda sotto le gonne” (8-12 aprile), primo capitolo della Trilogia sull’identità, che racconta l’infanzia di un undicenne degli anni Novanta nato in un corpo femminile, osservando come il transgenderismo possa assumere le sembianze della spontaneità e persino della tenerezza. Il centro tematico del lavoro è la scoperta dei primi impulsi sessuali e lo scontro con i genitori per affermare la propria identità. Con questo spettacolo viene posta con forza la domanda su cosa significhi affrontare una transizione, anche solo mentale, dal femminile al maschile, in un contesto dove ogni certezza è destinata a dissolversi. Parola e danza sono i linguaggi scelti per il racconto: la drammaturgia testuale disegna un parlato semplice e realistico, tipico dei preadolescenti, attraverso il quale si ricerca leggerezza, mentre la danza tratteggia zone di senso diversamente inesprimibili. L’idea e la regia è della tuderte Liv Ferracchiati. Si prosegue con “Il racconto d’inverno” di William Shakespeare (17-20 aprile) con i ragazzi della Compagnia Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria (Mariasofia Alleva, Luisa Borini, Edoardo Chiabolotti, Jacopo Costantini, Carlo Dalla Costa, Giorgia Filippucci, Silvio Impegnoso, Daphne Morelli, Ludovico Röhl) per la regia di Andrea Baracco. Una favola nera, raccontata da un ragazzino di otto anni, il principe Mamillio, che ha per protagonisti due re, una regina, un vasto gruppo di nobili, un orso affamato, un furfante, una principessa che crede di essere una contadina, un principe che vorrebbe essere un pastore, una dama di compagnia che si mette al posto di un re, una statua di marmo che inaspettatamente prende vita; e poi balli pastorali e feroci processi a corte, morti improvvise e resurrezioni, mari in tempesta e cieli cristallini, tremende gelosie e ravvedimenti improvvisi. La potenza di questo testo risiede nel suo non volersi chiudere in un’unica, definitiva forma; nel suo essere una sorta di mostro a tante teste e dalle molte lingue, pieno di spazi bianchi e salti temporali, che obbliga lo spettatore ad abbandonarsi e lasciarsi sedurre dal gioco favolistico. Si passa poi a “Gianni” ispirato alla voce di Gianni Pampanini, spettacolo di e con Caroline Baglioni, con la supervisione alla regia di Michelangelo Bellani, progetto vincitore del Premio Scenario per Ustica 2015 e del Premio in-box blu 2016, olte che Premio Museo Cervi – teatro per la memoria 2017. “Avevo circa tredici anni – asserisce la Baglioni – Mio padre tornò a casa e disse che era arrivato il momento di occuparci di Gianni. Era un gigante Gianni. Alto quasi due metri, ma a me sembravano tre e nella mia mente è un film in bianco e nero. Gianni sembra oggi un ricordo lontano, ma era lontano anche quando c’era. Era lo zio con problemi maniaco-depressivi che mi faceva paura. Aveva lo sguardo di chi conosce le cose, ma le ripeteva dentro di sé mica ce le diceva. Fumava e le ripeteva dentro di sé. Gianni non stava mai bene. Se stavamo da me voleva tornare a casa sua. Se stava a casa sua voleva uscire. Se era fuori voleva tornare dentro. Dentro e fuori è stata tutta la sua vita. Dentro casa. Dentro il Cim. Dentro la malattia. Dentro al dolore. Dentro ai pensieri. Dentro al fumo. Dentro la sua macchina. E fuori. Fuori da tutto quello che voleva”. Di nuovo protagonisti Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani di “Non è ancora nato” dal 7 al 9 maggio alle 21. Un uomo di sessant’anni e sessant’anni di un uomo con un’amnesia temporanea. La voce di una giovane donna a incidere, a comporre il dialogo, a prefigurare, il ricordo di un vissuto o soltanto l’illusione che un giorno tutto possa accadere davvero. Una storia inventata a tutti gli effetti, anche se qualcuno, con la cura dello sguardo, potrebbe percepire in filigrana un’eco distorta e lontana proveniente dal vecchio edipo a colono sofocleo: l’eroe della cattiva sorte, il “supplice che porta salvezza” scacciato e maledetto che vaga cieco e ramingo accompagnato dalla figlia Antigone. Il bosco sacro dell’approdo edipico è nel nostro contemporaneo un luogo qualunque, ma come tutti i luoghi sacri, è un luogo fuori dal tempo. “Sacro” è lo spazio aperto del perdono, di un’autenticità e di un sentire irriducibile. Una dimensione che come ricorda Kierkegaard oltrepassa ogni questione etica, poiché è al di là del vero e del falso, così come è al di là del bene e del male: è uno spazio d’amore. Spazio alla danza con “Frog” (13 maggio), nuova produzione della Compagnia di danza contemporanea Déjà Donné, con le coreografie di Virginia Spallarossa e Afshin Varjavandi e la collaborazione con InnProgressCollective. In prima italiana, lo spettacolo affronta la trasformazione del corpo per raccontare l’evoluzione costante di ogni uomo. La rana è la prova che la trasformazione può portare alla liberazione. Il corpo rappresenta una realtà mutevole, transitoria. La propria immagine è qualcosa che il corpo costruisce; una costruzione che esso compie attraverso lo sguardo e in rapporto all’altro e alle condizioni ambientali e agli spazi in cui si muove. Acquisendo struttura e competenza diviene un dispositivo complesso e organizzato, primo luogo del mutamento come risultato di un processo creativo. A chiudere il sipario sarà “Stabat Mater”, il secondo capitolo della Trilogia sull’identità di Liv Ferracchietti (15-20 maggio), in cui viene raccontata la vicenda di un trentenne, scrittore, uomo di cui si possono notare gli aspetti più ordinari nonostante egli stia vivendo una situazione straordinaria. Tale straordinarietà consiste nel vivere al maschile quando tutti, almeno inizialmente, osservino come il suo corpo abbia sembianze femminili. Il tema centrale è l’emancipazione dalla madre, la difficoltà di diventare adulti. La direzione dell’attore si fonda sullo sforzo costante di una ricerca dell’autenticità, è una sorta di seconda partitura testuale fatta di pause, relazioni, ritmi martellanti o blandi, dinamiche emotive ogni volta rinnovate dall’ascolto dell’unicità del momento, una parola recitata come smozzicata che alterna, esattamente come la drammaturgia del testo, momenti di quotidianità esasperata ad invenzioni che la vanno ad alterare. Il testo di “Stabat Mater” ha vinto il premio Hystrio nuove scritture di scena 2017.