Nuove produzioni, rivisitazioni di testi classici, commedie e danza contemporanea per il teatro Mengoni e il teatro dell’Accademia nei cartelloni a cura TSU
di Francesca Cecchini
Due le stagioni curate dal Teatro Stabile dell’Umbria che stanno per prendere il via nei comuni lacustri di Magione e Tuoro sul Trasimeno.
Al teatro Giuseppe Mengoni di Magione si inizia il 31 ottobre con la compagnia di danza Astra Roma Ballet, fondata e diretta dall’étoile Diana Ferrara, e “Il Flauto Magico”, una creazione ispirata alla celebre opera di W. A. Mozart su libretto di E. Schikaneder. Lo spettacolo, firmato dal coreografo Paolo Arcangeli, è impreziosito dalle scenografie di Emanuele Luzzati, bellissime illustrazioni provenienti dal laboratorio dell’omonimo museo a Genova intitolato proprio dall’illustratore italiano di cui ricorre nel 2017 il decimo anniversario della scomparsa. Tra piume, stracci colorati e incantevoli foreste disegnate dall’artista genovese, arriva il racconto danzato dell’entusiasmante e contrastata storia d’amore tra il principe eroe Tamino e la principessa Pamina, rapita dal malefico mago- sacerdote Sarastro. Domenica 11 novembre sarà la volta di una produzione TSU, “Il racconto d’inverno” con la Compagnia dei Giovani del Teatro Stabile dell’Umbria; una favola nera, raccontata da un ragazzino di otto anni, il principe Mamillio, che ha per protagonisti due re, una regina, un vasto gruppo di nobili, un orso affamato, un furfante, una principessa che crede di essere una contadina, un principe che vorrebbe essere un pastore, una dama di compagnia che si mette al posto di un re, una statua di marmo che inaspettatamente prende vita; e poi balli pastorali e feroci processi a corte, morti improvvise e resurrezioni, mari in tempesta e cieli cristallini, tremende gelosie e ravvedimenti improvvisi. La potenza di questo testo risiede nel suo non volersi chiudere in un’unica, definitiva forma; nel suo essere una sorta di mostro a tante teste e dalle molte lingue, pieno di spazi bianchi e salti temporali, che obbliga lo spettatore ad abbandonarsi e lasciarsi sedurre dal gioco favolistico. Occident Express con Ottavia Piccolo sul palco il 23 novembre, con la storia di una donna anziana di Mosul che nel 2015 si mise in fuga con la nipotina di 4 anni: ha percorso in tutto 5.000 chilometri, dall’Iraq fino al Baltico, attraverso la cosiddetta “rotta dei Balcani”. “Occident Express” è la cronaca di un viaggio, è il diario di una fuga, è l’istantanea su un inferno a cielo aperto. Ma soprattutto è una storia vera, un piccolo pezzo di vita vissuta che compone il grande mosaico dell’umanità in cammino. Un racconto spietato fra parole e musica, senza un solo attimo di sosta: la terribile corsa per la sopravvivenza. La musica suonata dal vivo dall’Orchestra Multietnica di Arezzo contribuisce a raccontare i mille luoghi attraversati dalla protagonista nel suo viaggio. Dall’omonimo romanzo di Georges Simenon, arriva sul palco il primo dicembre “Il gatto”, storia irriverente che scuote le nostre rassicuranti pretese morali, tradendo ogni retorica perbenista e ci conduce a perlustrare le ingarbugliate e contorte strettoie del nostro mondo interiore con sfacciata onestà. Émile e Marguerite sono prigionieri in un matrimonio che ha ceduto il passo a un bieco e beffardo conflitto permanente. Forse i due si sono amati un tempo, o forse hanno allestito la scena posticcia della loro unione per non restare soli a recitare sul palcoscenico spoglio e desolante della senilità. Si prosegue il 15 dicembre con “È questa la vita che sognavo da bambino?” con Luca Argentero che racconta le storie di Luisin Malabrocca, Walter Bonatti e Alberto Tomba, tre sportivi italiani che hanno fatto sognare, tifare, ridere e commuovere più di una generazione. Il 2019 si apre con “In nome del padre” il 18 gennaio; Mario Perrotta, accompagnato nella drammaturgia dall’illuminante supporto psicanalitico di Massimo Recalcati, veste i panni del padre nel primo capitolo di una nuova trilogia dedicata alla famiglia. Un padre. Uno e trino. Niente di trascendentale: nel corpo di un solo attore tre padri, diversissimi tra loro per estrazione sociale, provenienza geografica, condizione lavorativa. A distinguerli gli abiti, il dialetto o l’inflessione, i corpi ora mesti, ora grassi, ora tirati e severi. Tutti e tre di fronte a un muro: la sponda del divano che li separa dal figlio, ognuno il suo. I figli adolescenti sono gli interlocutori disconnessi di questi dialoghi mancati, l’orizzonte comune dei tre padri che, a forza di sbattere i denti sullo stesso muro, smussano le loro differenze per ricomporsi in un’unica figura. Uno sguardo sul presente per indagare quanto profonda e duratura è la mutazione delle famiglie millennials e quanto di universale, eterno, resta ancora. Il 10 febbraio la compagnia Baccalà porta in scena “Pss… Pss”, vincitore di 12 premi internazionali, unico, incantevole, virtuoso e molto divertente, uno spettacolo che mette in scena due clown contemporanei attraverso il linguaggio universale del corpo e dello sguardo. Sabato 23 febbario si passa a “Le prénom. Cena tra amici” diretto da Antonio Zavatteri: quarantenni a confronto tra colpi di scena, battute comiche, amicizia, rancori e legami profondi. Rappresentato a Parigi nel 2010, “Le prénom”, ha ottenuto sei nomination al Prix Molière e da subito è stato adattato per il grande schermo. Giovedì 7 marzo Filippo Bedeschi, Luca Mammoli, Federica Ombrato e Alessandro Vezzani sono i protagonisti di “Nessuna pietà per l’arbitro”, parabola teatrale contemporanea in cui una tipica famiglia italiana del 2016, gioca a basket e nel frattempo si interroga sul senso delle leggi e sui valori che regolano le proprie scelte. A chiudere la stagione il 5 aprile sarà “Night Bar” spettacolo che guarda a quattro atti unici di Pinter (“Il Calapranzi”, “Tess”, “L’ultimo ad andarsene”, “Night”), racconti che hanno in comune un “luogo”, un baretto di basso rango visto in modi e in tempi diversi attraverso le storie dei suoi avventori, personaggi notturni, famelici di vita ma torturati da noia e non senso.
Sette spettacoli per la stagione del teatro comunale dell’Accademia di Tuoro sul Trasimeno. Ouverture affidata il 4 novembre a “Il racconto d’inverno”, una favola nera, raccontata da un ragazzino di otto anni, il principe Mamillio, che ha per protagonisti due re, una regina, un vasto gruppo di nobili, un orso affamato, un furfante, una principessa che crede di essere una contadina, un principe che vorrebbe essere un pastore, una dama di compagnia che si mette al posto di un re, una statua di marmo che inaspettatamente prende vita; e poi balli pastorali e feroci processi a corte, morti improvvise e resurrezioni, mari in tempesta e cieli cristallini, tremende gelosie e ravvedimenti improvvisi. La potenza di questo testo risiede nel suo non volersi chiudere in un’unica, definitiva forma; nel suo essere una sorta di mostro a tante teste e dalle molte lingue, pieno di spazi bianchi e salti temporali, che obbliga lo spettatore ad abbandonarsi e lasciarsi sedurre dal gioco favolistico. A seguire, il 13 dicembre, arriva “Occident Express” con Ottavia Piccolo e la storia di una donna anziana di Mosul che nel 2015 si mise in fuga con la nipotina di 4 anni: ha percorso in tutto 5.000 chilometri, dall’Iraq fino al Baltico, attraverso la cosiddetta “rotta dei Balcani”. “Occident Express” è la cronaca di un viaggio, è il diario di una fuga, è l’istantanea su un inferno a cielo aperto. Ma soprattutto è una storia vera, un piccolo pezzo di vita vissuta che compone il grande mosaico dell’umanità in cammino. Un racconto spietato fra parole e musica, senza un solo attimo di sosta: la terribile corsa per la sopravvivenza. La musica suonata dal vivo dall’Orchestra Multietnica di Arezzo contribuisce a raccontare i mille luoghi attraversati dalla protagonista nel suo viaggio. Il trio “le capinere” (Sara Cresta, Fabiola Battaglini, M. Letizia Beneduc) sul palco il 13 gennaio con “Variegato”, spettacolo diverso, non banale, che, grazie agli arrangiamenti musicali sofisticati e originali, all’incisività dei testi e all’interpretazione delle tre artiste proietta il pubblico in un’esperienza emotiva unica, ricca di momenti intensi e di colpi di scena inattesi. Ambientato nel corso degli Anni Trenta e Quaranta, lo spettacolo ripercorre, le canzoni più belle e significative di quel tempo tra teatro, canto, poesia, proiezione cinematografica, trasformismo, immagine, ritmi, sonorità romantiche o pittoresche. Il primo febbraio si prosegue con “Tutta casa, letto e chiesa” tratto dal testo cult di Dario Fo e Franca Rame, spettacolo sulla condizione femminile, in particolare sulle servitù sessuali della donna, uno spettacolo dove si ride, e molto. Domenica 24 febbraio salirà sul palco “INA | Suite”, ideazione, coreografia e regia di Afshin Varjavandi, un vero punto di riferimento per tanti giovani che, non solo nella nostra regione, hanno trovato nella danza un linguaggio in grado di esprimere la loro esistenza, di interpretarne bisogni, desideri, passioni e difficoltà. Da anni il coreografo porta avanti una sua personale indagine che si è concretizzata nella messa a punto di uno stile e un linguaggio coreografici molto personali, in cui il virtuosismo tecnico della “street dance” si fonde con l’introspezione e l’approfondimento delle relazioni tra i danzatori e lo spazio. INA rappresenta l’ultima sfida del coreografo: portare in scena un gruppo di giovani che da anni lo seguono e condividono il suo stile innovativo ed energico. La suite che propongono assembla brevi coreografie e brani tratti dai lavori più recenti, in una serata di potente virtuosismo dei corpi, brillante ritmo ed energica bellezza contemporanea. In scena il 15 marzo “Mimì. Da sud a sud sulle note di Domenico Modugno”, storia fatta da mille storie, uno spettacolo in cui Mario Incudine e Domenico Modugno ci raccontano un mondo che cambia, che lotta, che sogna, che sfida convenzioni e stereotipi. A chiudere il sipario sulla stagione il 13 aprile sarà uno spettacolo di e con Stefano Baffetti, “Nel nome del figlio”. Un padre. Ha una storia particolare e racconta al figlio alcuni aneddoti con lo scopo di insegnargli il coraggio di vivere. in realtà questo padre è totalmente inadeguato. È come un bambino mai cresciuto. la sua narrazione rivela la completa incapacità di cogliere i più banali aspetti della vita, creando interpretazioni grottesche del quotidiano che lui cerca di trasmettere come consigli per la vita. le palesi incongruenze tra realtà e percezione dell’uomo conducono anche a momenti comici. Nonostante questa lente completamente distorta, questo padre bislacco offre se stesso in maniera incondizionata. fornisce presenza e dedizione pensa al figlio sopra ogni cosa, e l’amore per esso, è presente in ogni suo gesto e parola. l’innocenza del suo essere lo porta a distillar pensieri che rompono la gabbia della sua immensa difficoltà.