Domande e risposte sul teatro contemporaneo al centro della quinta stagione dello Spazio Zut di Foligno. Quest’anno un cartellone tra teatro di parola, della poesia, tradizione dei burattini e nuove forme di ricerca performativa

di Fra.Cec.

Svelato il cartellone in programma per la stagione “Re:act, domande e risposte del teatro contemporaneo” allo Spazio Zut di Foligno, a cura della Cooperativa Gecite (ZUT) e dell’associazione Zoe. Dieci gli spettacoli in programma che esploreranno nuovi linguaggi, nuove modalità di indagine e di utilizzo della parola e dell’azione scenica, e che si articoleranno sotto un unico comune denominatore, “il teatro nella sua declinazione più ampia che spazia dalla narrazione al teatro danza, dal performativo al monologante”. Si inizia il 30 novembre (fino al 2 dicembre) con “A Virginie” di Lucia Calamaro, uno spettacolo desolato eppure ricco di humor in cui si racconta l’itinerario di un malato terminale, attraverso l’accompagnamento, le cure e la degenza presso un ospedale X, un posto strano in cui vivono la madre della paziente e la dottoressa. In questa culla di nature ibride, ingrossa e cresce il vuoto. È un non-luogo, non assomiglia a niente e alimenta con parole buie il mistero e la paura. Ci si affida a miracoli, preghiere e poi a un’ultima operazione impossibile, appiglio risolutivo che la me­dicina tende allo spirito. Si prosegue il 16 dicembre con “I Giardini di Kensington” (studio) di Elisa Pol e Valerio Sirna, anche interpreti sul palco. Un soggiorno. Pochi elementi delineano una certa atmosfera borghese, una poltrona, una lampada. Un oggetto non identificato aleggia e incombe sulla stanza. Due coniugi, con le loro presenze annoiate, sottili, tese, eleganti, dolci e litigiose, vicine e distanti, nell’intimità di non aver nulla da dirsi, tra i cali e i picchi fisiologici della relazione. Un percorso drammaturgico suddiviso in tre atti: il litigio, il rifugio, il trasloco. Lo scorrere di un tempo imprecisato – un giorno, un anno, una vita – apre delle smagliature nella quotidianità; le pose più ovvie del vivere domestico -mangiare, sedere su una poltrona, leggere un giornale – si caricano di elementi inspiegabili e inaspettati. Il salotto si trasforma allora in un insieme di angoli, di miniature intime e riparate; talvolta in una distesa desertica, in cui svaniscono misure e coordinate. La percezione di uno spazio alterato consente l’emergere di unisoni svuotati di ogni funzionalità, in una ricerca coreografica sospesa tra gesto cristallino e sprofondamenti, fino al punto in cui tutti i parametri cartesiani del reale e del quotidiano si disciolgono. Il 28 dicembre sarà la volta di “Il viaggio – ovvero meno psicologia e più geografia” di Teatro Medico Ipnotico, storia animata con il linguaggio del teatro d’arte dei burattini ed è sognante e crudele come una favola: c’era una volta una cattiva direttrice didattica che per colpa di una sola classe di ragazzi difficili  non riusciva mai a  vincere il Premio per la “Miglior Scuola del Territorio”. Decide così di mandare la 2F in gita nei parchi dell’Emilia Occidentale a bordo di uno scalcinato furgone con la speranza di non vederli tornare mai più. Il guardia parco li avvertì: “Ragazzi, se non volete correre pericoli, rispettate la natura e le sue regole!”. Ma i sette piccoli burattini (allergici ad ogni divieto) restarono vittima del loro entusiasmo e delle cattive abitudini del nostro tempo, non ascoltando la voce profonda della natura. E così, di guaio in guaio un solo burattino tornerà a casa. L’anno nuovo si apre il 20 gennaio con “Kokoro + Kudoku”, coreografia e interpretazione di Luna Cenere (il primo, cui visione è consigliata a un pubblico adulto per la presenza in scena di nudo femminile) e Ninarello&Kinzelman, interpretato da Daniele Ninarello (il secondo). Al termine seguirà un incontro con i danzatori nell’ambito di appuntamenti targati “Il corpo che danza”, a cura di Carla Di Donato. Il 9 e il 10 febbraio a salire sul palco sarà “Memory Box” di Zoeteatro di Emiliano Pergolari, che ne cura anche la regia. Il passato è una sedia a dondolo. All’interno di una scatola. O meglio, di una Memory Box. Un uomo (il Soggetto 16) dondola all’interno della propria tana e ricorda il suo passato. Arriva un momento in cui vale la pena tracciare un bilancio, soppesare i successi e i fallimenti di  una vita. Quest’uomo è lì, e dondola, medita, alla ricerca di quel momento unico che ha cambiato la sua vita Siamo partiti da Krapp, uno dei personaggi simbolo dell’opera beckettiana, un uomo, solo, coi suoi ricordi,  e quel momento in cui tutto sarebbe potuto cambiare. Questa volta però la stessa situazione diventa un esperimento pubblico, la Memory Box. Il 3 marzo Mariangela Gualtieri sarà la protagonista di “Bello Mondo”, in cui cuce versi tratti soprattutto da “Le giovani parole” (Einaudi), uscito nel 2015, ma inserisce anche poesie da raccolte precedenti, al fine di comporre una partitura ritmica che passa dall’allegretto al grave, dall’adagio fino al grande largo finale, col suo lungo e accorato ringraziamento al bello mondo, appunto, con la sua ancora percepibile meraviglia. La natura e le potenze arcaiche della natura sono in primo piano, con un io in ascolto delle minime venature di suono, con un tu al quale vengono rivolte parole d’amore, senza tuttavia trascurare la fatica del tenersi insieme. Una sezione particolarmente intensa è dedicata alla madre, in uno scambio in cui i ruoli sbiadiscono e si invertono, in uno sbigottimento di fronte all’inspiegabile disimparare il mondo, allo scolorire dei connotati nella feroce e dolce vecchiaia, al suo insegnamento. Vi è poi a tratti un noi accorato, straziato, rotto o severo, esortativo, secondo lo spirito epico delle più vive opere del Teatro Valdoca. In questo nuovo rito sonoro la Gualtieri continua il cammino dentro l’energia orale/aurale della poesia, nella certezza che essa sia un’antica, attuale via alla comprensione e compassione del mondo. Domenica 10 marzo spazio a “Quintetto” di e con Marco Chenevier. Il “5”, nell’esoterismo, è il numero che simboleggia la vita universale, l’individualità umana, la volontà, l’intelligenza, l’ispirazione e il genio. Simboleggia anche l’evoluzione verticale, il movimento progressivo ascendente. Per l’esoterismo il “5” è il numero dell’uomo come punto mediano tra terra e cielo, e indica che l’ascensione verso una condizione superiore è possibile. Esso contiene la sintesi dei cinque sensi, il numero delle dita di un uomo, è la base decimale matematica, è il numero del pentacolo ed il numero della stella a cinque punte. Si tratta di una cifra dell’uomo, a cui gli uomini hanno attribuito significati trascendentali fin dalla notte dei tempi. Ma oggi c’è la crisi. In scena il 7 aprile “Schifo – Two Litte Mice” di Robert Schneider, con Kabir Tavani. Lo spettacolo parla principalmente di immigrazione, di rapporti d’odio tra popoli con diverse culture che si trovano costretti a coabitare, di xenofobia; tematiche che tristemente sono oggi tanto attuali quanto lo erano nel 1993. Ma non è solo questo. “Schifo” ci racconta la situazione dell’Uomo solo ed emarginato in un mondo che gli è tanto natio quanto estraneo, tanto indispensabile quanto avverso. Tutti noi siamo costantemente nella situazione di Sad, non solo responsabili ma anche partecipi dello schifo in cui è costretto ad andare avanti. Un monologo più che intimo, un soliloquio con se stessi alla ricerca di una risposta, di una giustificazione alla miseria che ci circonda. Un viaggio nella mente colpevole di un uomo innocente. Ultimo spettacolo in cartellone, dal 12 al 14 aprile, sarà “Come va a pezzi il tempo” di e con Alessandra Crocco e Alessandro Miele. Lo spettatore entra in una casa disabitata da poco.  Ogni cosa è ancora al suo posto e il tempo sembra essersi fermato. Il silenzio amplifica il distacco tra i il visitatore e un luogo ancora muto.  Ma quella casa è stata vissuta ed è carica di segni che a poco a poco iniziano a parlare. Dal silenzio riaffiorano ricordi, momenti differenti, legati eppure distanti. Le porte, le stanze, gli oggetti, gli odori raccontano una storia, evocano le persone che hanno abitato quel luogo, le chiamano a ripetere scene già vissute. È una storia ridotta in pezzi, come la memoria di una vita, come un sogno ripercorso con la mente al risveglio. E’ l’ultimo canto di un luogo prima che il tempo lo faccia lentamente decadere. Lo spettatore viene condotto dentro la storia, attraversando le stanze e nello stesso tempo le vite di chi le ha abitate, testimone discreto dell’eco di un passato che risuona ancora una volta. Tenuto sul limite tra mondo reale e mondo immaginario, potrà quasi toccare i due personaggi ma non intervenire perché tutto è già accaduto.

Durante la stagione, “Teatro e Critica” realizzerà un percorso di visione costruito sul calendario degli spettacoli. L’attività didattica punta a sostenere, accanto all’analisi critica, anche pratiche di accompagnamento alla messa in scena, di cura dei momenti di dibattito con gli artisti e di accoglienza e osservazione del lavoro residenziale. Gli incontri offriranno ai partecipanti l’occasione di misurarsi l’habitat di un centro di produzione, residenza e spettacolo in maniera diretta e progressiva, esplorandolo nelle sue dinamiche interne, di interazione con gli artisti e di organizzazione creativa. Il progetto si propone dunque di aggiornare e implementare il bagaglio di strumenti di visione di chi sul territorio già opera e, allo stesso tempo, di favorire, professionalizzare e diversificare la natura delle esperienze sviluppate.