di Pier Paolo Vicarelli

Domenica 2 giugno 2013. Lo stadio Curi è gremito come ai vecchi tempi. Il Perugia di Camplone affronta il Pisa per l’accesso alla serie B. In curva nord, lo storico capo degli ultras, Mimmo dirige le corali dei tifosi fra una infinità di cappelli e sciarpe biancorosse. Volti nuovi e vecchi si mescolano fra il pubblico, ma in tribuna è impossibile non riconoscere i volti di Vannini, Novellino ed Amenta. Come ai tempi del Perugia dei miracoli, loro sono ancora li, sentono il richiamo del tappeto verde dove hanno giocato le partite più indimenticabili della loro vita calcistica. Si apre una finestra sul passato, e Mauro Amenta si racconta. Sembra essere tornati ai tempi del Santa Giuliana, ricorda, quando prima della partita intere famiglie cominciavano a scartare le buste dei panini nell’attesa del fischio di inizio. Una bella sensazione che mi fa respirare ancora l’aria della gioventù, quando a sedici anni lasciai la laguna di Orbetello per andare a Civitavecchia, dove Luciano Moggi mi fece esordire in serie D. Cominciò così la carriera di Amenta. Il suo primo ruolo fu quello di mediano e l’idolo di  riferimento non poteva essere che Romeo Benetti. Sognavo di diventare come lui, ed un giorno questo sogno si avverò. Per i ragazzi degli anni Settanta, lasciare le reti da pesca ed indossare calzoncini e carpette era un miraggio.  La prima vittoria in campionato arrivò con il Genoa in serie B, poi la pausa in C con il Pisa durante il servizio militare, e di nuovo la promozione in B con il Perugia, infine il salto in serie A con Castagner e Ramaccioni. Quelli passati a Perugia furono tre anni indimenticabili; il giovedì si andava tutti insieme in una casa in campagna presso S. Sisto con la Giuditta ed Orfeo che ci coccolavano e a volte ci rimproveravano come dei figli. Oggi dopo trent’anni rivivo con i mie compagni i momenti vissuti in quella ribalta calcistica come una favola da raccontare ai più giovani. La vittoria di 1-0 con la Juventus dopo un passaggio di Renato Curi a Novellino. La vittoria per 2-0 nel 1977 contro il Cagliari di Gigi Riva, dove segnai entrambi i gol su punizione da 30 metri. La vittoria con la Lazio con un gol di testa e l’altro di Cinquetti; il trionfo di Bologna 3-2 con un’altra doppietta dopo gli assist di Speggiorin. Amenta si distingueva anche per le sue doti di ambidestro ricoprendo un po’ tutti i ruoli difensivi. Fra i suoi gol più belli giova ricordare quello realizzato nel 1978 a Milano quando giocava con la Fiorentina. Infilai la palla in rete su calcio d’angolo, battendo il grande Richi Albertosi, che ci rimase molto male! Quel gol lo dedicai a mia moglie Claudia. Glie lo avevo promesso da tempo. Un combattente Amenta, un mediano che non si arrendeva mai. Correre e contrastare era il suo vangelo calcistico. Bisognava saperlo fare però. Quando davanti gli capitava un come Rivera non poteva permettersi di sbagliare, se ti prendeva 10 metri di vantaggio era finita e non lo riprendevi più. Dopo avere appeso le scarpette Amenta ha seguito Novellino nella carriera di allenatore divenendo il ruolo di secondo nella panchina del Perugia. Oggi Amenta allena il VillaBiagio, alla guida del quale ha disputato un ottimo campionato. Lo sguardo rivolto sempre verso il campo, verso l’avversario più difficile da marcare o il regista più difficile da prevedere. Un po’ come quando giocava lui, quando ha imparato il mestiere più bello del mondo, muovendo i primi calci sotto lo sguardo di suo padre Federico, dividendo l’entusiasmo e i sogni spezzati con suo fratello Marcello, volato in cielo a soli 33 anni. Nei suoi occhi i ricordi prendono la forma di un sorriso, come quello di Renato Curi, che ci sembra ancora di scorgere sotto i suoi baffi.