di Barbara Maccari

Isabella Dalla Ragione, sulle orme del padre Livio, ha salvato 400 alberi da frutto dall’estinzione e li ha racchiusi tutti in un Eden botanico a Lerchi, frazione di Città di Castello

“Se mi chiede qual è la mia pianta preferita non le saprei rispondere, è come chiedere ad una mamma quale sia il suo figlio prediletto”. Questa è Isabella Dalla Ragione, agronoma, che ha creato assieme al padre Livio l’archivio “Archeologia Arborea”, una raccolta di 400 piante da frutto di 140 varietà, tutte salvate dall’estinzione un attimo prima che le esigenze dell’agricoltura intensiva, basata sulla monocultura, facessero tagliare le alberate e sparire una gran varietà di frutti selezionati da generazioni di contadini: “Mio padre agli inizi degli anni ’60 comprò la tenuta di San Lorenzo di Lerchi, in quegli anni aveva raccolto in giro tanti reperti della cultura rurale, quelli che in quel periodo venivano buttati via perché ritenuti obsoleti, ma che avevano una forte connotazione storica. Da questa passione è nato nel 1974 il Museo delle Tradizioni Popolari di Garavelle. Raccogliendo nei poderi oggetti e testimonianze, Livio si era imbattuto in frutti in via d’estinzione, così decise che quelle piante dovevano essere salvate, e che la loro conoscenza doveva essere conservata e tramandata. Così è nata Archeologia Arborea. Oggi mio padre non c’è più e io continuo il suo lavoro”. Le ricerche continuano ancora oggi e le piante presenti a Lerchi sono state trovate in Umbria e nelle regioni limitrofe, Toscana, Marche, Lazio. Molte delle 400 piante presenti a San Lorenzo sono il frutto di innesti, tecnica antica che usa Isabella, ma sempre efficace: “Sono stati i romani a perfezionare la tecnica dell’innesto, l’unica in grado di riprodurre perfettamente la qualità, erano grandi coltivatori. Nel mio frutteto non uso prodotti chimici di sintesi, coltivo in maniera tradizionale, uso soltanto il rame e alcune tecniche di agricoltura biologica”. Alcune di queste piante risalgono addirittura al Rinascimento, la ciliegia bianca e la mela a muso di bue le ritroviamo nei quadri di Piero della Francesca: “Non mi piace definirle piante antiche, piuttosto vecchie varietà locali, anche se mi rendo conto che 500 anni non sono pochi”. La collezione di San Lorenzo svolge la funzione di serbatoio, non ha nessuno scopo produttivo ma garantisce il mantenimento delle biodiversità e ha forti potenzialità dal punto di vista didattico e sperimentale. L’archivio è conosciuto in tutto il mondo e l’unico aiuto arriva dai privati: “C’è stata poca sensibilità da parte degli enti pubblici, diciamo che le loro priorità sono altre, li capisco, ma io vado avanti lo steso”. La tenacia di Isabella ha portato infatti alla nascita della Fondazione: “Ho capito che questo era l’unico modo efficace per dare un futuro a questa collezione, così tutto il sapere raccolto nel corso degli anni sarà salvo”. Alla Fondazione hanno aderito da mezzo mondo: dal divo americano Bill Pullman (che ha voluto visitare di persona il frutteto), alla Fondazione Barbanera, fino alla Valfrutta, oltre ai tanti privati. Nel comitato scientifico ci saranno Università di Perugia, Bioversity International e Fao. C’è poi la possibilità di adottare una pianta della collezione con un piccolo contributo in denaro e l’impegno a visitare il “proprio” albero almeno una volta all’anno, portando in regalo un sacchetto di letame naturale. Il raccolto è del socio che però, secondo un’antica tradizione locale, deve lasciare tre frutti: uno per il sole, uno per la terra e uno per la pianta, che ha lavorato duramente e si merita un premio. Se il socio non si presenta, i frutti vengono lasciati sull’albero e regalati agli animali del bosco: caprioli e scoiattoli soprattutto. “Gérard Depardieu ha adottato la pera ubriaca, Bill Pullman la pera fiorentina – dice Isabella – ma tanto altri hanno contribuito da Valeria Ciangottini a Anna Galiena”.