Dentro e fuori il carcere femminile. L’arte terapeuta Mariella Carbone porta arte e teatro a Capanne e rimanda all’esterno desideri, emozioni e creatività nelle storie narrate dalle marionette ibride create insieme alle detenute

di Francesca Cecchini

“ARTicolAZIONI Arte e Teatro sociale in carcere”, questo il titolo del progetto della “pupazzara” Mariella Carbone che ha preso il via questo mese di maggio all’interno del carcere femminile di Capanne, a Perugia. L’idea è quella di sperimentare abilità ignorate o inutilizzate dalle detenute coinvolte, per costruire storie e narrazioni attraverso linguaggi non solo verbali e attività creative. Un viaggio, ci spiega Mariella Carbone, iniziato nel 2017 come percorso di arte terapia per far sì che le detenute, attraverso la mediazione artistica, potessero esprimere se stesse. “Oltre al punto di vista artistico, c’è un discorso che le porta a mettersi in gioco anche rispetto alla loro emotività, ai loro disagi, ai loro vissuti”. La particolarità “è che attraverso il teatro di figura, che mette in gioco sicuramente il corpo in quanto manipolatore – o “manipolattore”, nel senso che l’attore è co-protagonista insieme al personaggio marionetta – il primo anno è stato più che altro di costruzione di un rapporto di fiducia perché poi si potesse andare a realizzare un vero e proprio progetto”. A sostenere la Carbone è stata inizialmente la Croce Rossa “che mi ha aperto le porte”, poi “la direttrice Bernardina Di Maio si è man mano appassionata al progetto e i risultati sono stati tanti”. Pian piano infatti “le detenute hanno iniziato a raccontarsi. A farlo, però, non solo verbalmente, perché io non sono una psicologa, sono una arte terapeuta, quindi, il parlare avviene attraverso la creazione artistica”. Le detenute hanno avuto occasione di lavorare con tutti i materiali possibili e immaginabili, trovando così la propria espressione creativa e intessendo ognuna un personale racconto.

Dopo un iniziale lavoro con le maschere, “è cresciuta l’idea di questo progetto che si chiama ARTicolAZIONI” che prende il nome un po’ dal percorso fatto (in quanto “articolato”), un po’ perché è la combinazione di arte e azione in quanto, appunto, “azione teatrale e azione creativa attraverso l’arte” e, ancora, “perché le articolazioni sono quelle proprie delle marionette”. Preso forma, il proponimento viene presentato partendo dalla Carbone (come associazione Extrasolum), in qualità di curatrice e regista, con il partenariato del carcere, della Croce Rossa (che cofinanzia), della compagnia Occhisulmondo per la consulenza artistica e della Terra Galleggiante, associazione di Pinarolo che da ventiquattro anni organizza un festival di teatro di figura e che cura e gestisce l’Accademia della Marionetta, con cui Mariella collabora da diverso tempo. Il progetto, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, ora potrà proseguire fino al mese di maggio 2019, quando si chiuderà con una performance finale (aperta al pubblico, ma ancora da definire nei tempi e nei modi). Una delle cose interessanti saranno le marionette in quanto “ibride”, ovvero “in parte costituite dal corpo delle detenute”. Importante, sottolinea l’arte terapeuta, “è che la marionetta ibrida, a differenza dei burattini e delle piccole marionette di cui c’è un’idea legata allo stato infantile, è molto più potente come impatto visivo”. Tra l’altro, queste “avranno il volto delle detenute stesse perché stiamo lavorando sui calchi del loro viso”.

Quella che verrà a crearsi sarà un’osmosi tra dentro e fuori. “Un ponte reale perché ci sarà chi verrà a vedere la performance, poi, in seguito, le marionette usciranno fuori e saranno mosse dagli attori. Chiaramente le detenute non possono uscire, ma in questo modo sarà come se lo potesse fare una parte di loro”. L’obiettivo è infatti quello di portare la performance – recitata da attori – fuori dalla casa di detenzione. Così facendo, gli artisti che le indosseranno condivideranno il vissuto, le movenze, i desideri, le emozioni di queste donne. Fatto è che il lavoro si ispira liberamente alla storia raccontata dall’ultima compagna di Kafka, in cui uno scrittore incontra in un parco una bambina disperata per aver perso la propria bambola. Per consolarla l’uomo le dice di essere il postino della bambola che in realtà non si è persa, ma è partita per un viaggio. A lui ha lasciato il compito di consegnare alla bambina una lettera per raccontarle dei suoi viaggi e delle sue avventure. “Le detenute costruiranno le proprie bambole, il proprio alter ego che andrà e viaggerà per il mondo, come al momento non possono fare loro”.