Lavorava a Torino alla Fiat ma era e si sentiva perugino a tutti gli effetti, come sua moglie che aveva sposato giovanissimo prima di partire, come tanti, con le valigie di fibra, se non di cartone, verso il nord. Ma il suo cuore era rimasto tra le colline verdi di Ramazzano, sotto la pineta da cui si domina la piana del Tevere. Nel Monferrato c’erano le colline, il verde, i fiumi, i campi arati e le vigne ed il paesaggio era simile a quello che aveva lasciato, ma non proprio quello… ed il parlare diverso, più veloce, più francesizzato del nostro dialetto perugino lento e colorito. Perciò voleva tornare, “quando andrò in pensione tornerò, torneremo io mia moglie ed i miei figli”. Ma una malattia inguaribile gli portò via la primogenita giovinetta ed, appena dopo, il figlio maschio di sei anni. Loro furono i primi a tornare a Ramazzano, nel piccolo cimitero sulla collina. Da allora ogni quindici giorni con la 600 affrontava il viaggio per stare un giorno vicino ai figli. Dormivano in macchina, lui e la moglie, la notte del sabato e, la domenica pomeriggio, ripartivano per Torino. Così con i risparmi comprò un lotto di terra vicino al cimitero e volle che gli facessi il progetto della casa. Quando gettammo le fondazioni facemmo merenda all’aperto con tanto di brindisi di rito. E fu allora che chiamandomi in disparte mi consegnò 2 bottiglie di vino e mi disse “queste le beve alla mia salute a copertura”. Erano, sono, due bellissime bottiglie albeise di vino Barbera chiuse con il tappo di sughero e lo spago di rinforzo, con sul dorso incollato un foglietto con scritto a mano Barbera 70. Se n’è andato l’anno dopo, che la casa non era finita ed io non l’ ho mai bevute le due bottiglie di Barbera ed ormai non le aprirò più, né saprò mai se lui presagisse che a copertura non sarebbe stato con me ed i muratori, ma insieme ai suoi amati figli a Ramazzano, nel piccolo cimitero sulla collina.