…SCUSA AMERI. PRENDO LA LINEA DAL RENATO CURI, PER DIRVI CHE AL 48′ DEL SECONDO TEMPO, CECCARINI HA PAREGGIATO CON UN GOL DI TESTA. ALLO SCADERE QUINDI IL RISULTATO E’ 2-2 FRA PERUGIA E INTER…

di Pier Paolo Vicarelli

Quel giorno le radioline di tutta l’Umbria gracchiarono quell’annuncio così atteso diffondendo l’inconfondibile voce di Sandro Ciotti. Era la domenica del 4 febbraio 1979. L’imbattibilità che i perugini tenevano fieri sul petto stava per diventare un sogno spezzato. L’Inter di Eugenio Bersellini dopo 26 minuti di gioco vince 2-0, con reti di Altobelli e Muraro. Il grande Vannini al nono minuto della ripresa, grazie ad un appoggio venuto dalla sponda destra è pronto sulla palla, colpisce col destro e accorcia le distanze. Sarà l’ultimo gol della “torre” del Perugia, venti minuti più tardi, Fedele lo colpirà ignobilmente, troncandogli la carriera. Quel giorno gli attaccanti le avevano provate tutte, era una partita delicatissima, ci venne prima assegnato e poi tolto un rigore, dagli spalti gli occhi sbirciavano la sagoma dell’arbitro Longhi sperando che questi non fischiasse mai la fine. Quando la partita sembrava ormai persa, ecco l’ultima occasione: Punizione dalla destra di Casarsa, Della Martira prolunga la traiettoria sulla quale vengono a trovarsi Ceccarini e Speggiorin che saltano insieme. Abbiamo rischiato grosso, ricorda oggi Antonio Ceccarini, Speggiorin pensava che ero un avversario e stava per darmi una gomitata per difendere la palla, ma poi all’ultimo momento ha intravisto un lembo di maglia rossa e si è fermato, lasciandomi giusto il tempo di scaricare tutta la forza della disperazione che avevo per centrare la porta di Bordon, Il Curi saltò in piedi con un boato da brividi. Molti piansero di gioia e di rabbia. Momenti impossibili da dimenticare. Da allora lo chiamarono “Il Tigre”. Antonio Ceccarini sceso da S. Angelo in Vado, era diventato il terzino del Perugia dei miracoli. Furono imprese calcistiche costruite con la forza, l’agonismo, l’intelligenza e non ultima la coesione di gruppo. Ciascuno con le proprie caratteristiche, si sentiva protagonista e parte della stessa squadra. Tutto sembrava riuscire con una semplicità che agli avversari appariva disarmante. Molte squadre avevano apparente difficoltà a giocare in uno stadio stracolmo di gente biancorossa. Lo stesso Trapattoni diceva che “…quando la parola passava al campo, quella squadra rendeva la vita difficile a chiunque”. Quel pareggio fece venire il groppo in gola ai milanesi che dovettero accettare quel risultato. La metropoli della modernità, la Milano da bere, era stata ammutolita dalla Perugia di provincia fatta di bruschetta e vinsanto. Con l’allenatore c’era intesa, ricorda Ceccarini, sapevamo come intenderci e fra giocatori c’era affiatamento, sia in campo che fuori. Quando non sapevamo dove andare, ci ritrovavamo insieme per la classica passeggiata in centro. Ci fermavamo a parlare con la gente, non come oggi che viaggiano con le guardie del corpo e si chiudono in albergo. Ricordo che durante i trasferimenti in pulman verso lo stadio ascoltavamo la Hit Parade di Giancarlo Guardabassi. Il ruolo del calciatore come parte più pura del calcio oggi ha perso il suo originario equilibrio. Oggi si sa tutto del calcio senza approfondire niente, si vive lo sport come fosse una partita continua trasmessa a tutte le ore che riempie gli schermi e svuota gli stadi. Per questo Ceccarini vuole spendere una parola di elogio per l’attuale presidente Santopadre che in occasione dell’ultima partita con il Pisa ha saputo ridare allo stadio perugino l’immagine di una volta con la curva nord piena di tifosi. L’ultimo pensiero di Ceccarini va al suo scopritore Silvano Ramaccioni che ha creduto nel suo talento e lo ha voluto portare dal Città di Castello al Perugia dove ha realizzato il sogno della sua vita calcistica.