Antonio Cianciullo, inviato del quotidiano “La Repubblica”, è stato fra i primi giornalisti italiani ad occuparsi, sin dagli anni Ottanta, di tematiche ambientali. Nel suo ultimo saggio, “Ecologia del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce”, pubblicato da Aboca Edizioni traccia le linee fondamentali dell’ambientalismo contemporaneo

di Barbara Maccari 

Antonio Cianciullo, inviato del quotidiano “La Repubblica”, è stato fra i primi giornalisti italiani ad occuparsi, sin dagli anni Ottanta, di tematiche ambientali. Ha scritto molti libri su questi argomenti fra cui “Soft economy” (Rizzoli, 2005, con Ermete Realacci), “Dark economy” (Einaudi, 2012, con Enrico Fontana), o “Il grande caldo” (Ponte alle Grazie, 2004). Nel suo ultimo saggio, “Ecologia del desiderio. Curare il pianeta senza rinunce”, pubblicato da Aboca Edizioni, amplia lo sguardo e traccia in otto capitoli le linee fondamentali dell’ambientalismo contemporaneo, soffermandosi sulle possibili soluzioni ai problemi più urgenti.

Come nasce l’incontro e la collaborazione con Aboca?

C’è stato da subito un buon feeling, tutte le persone in Aboca con cui ho parlato hanno una consonanza con i temi di cui mi occupo, c’è stata facilità d’intesa.

“L’ambientalismo rappresenta un limite al progresso” frase spesso ricorrente, ma lei nel suo libro va nella direzione opposta e cioè che la crescita e l’ecologia possono e devono viaggiare insieme.

La considerazione che faccio per spiegare questa posizione è una questione di tipo psicologico. Come specie abbiamo un ancoraggio emotivo, quello che qualcuno chiama il cervello rettile, legato ad un epoca in cui il ruolo della natura era dominante e quello dell’umanità minimo. La specie umana si è poi evoluta in un mondo in cui hanno prevalso quelli che sono stati più capaci di difendersi, di dare delle risposte rapide e in una frazione di secondo hanno deciso di attaccare di fronte ad un animale o in una situazione di pericolo. Noi siamo quindi figli di quelle persone che avevano emozioni di paura nei confronti della natura. Queste pulsioni non sono di per sé negative, lo sono diventate oggi perché la situazione si è rovesciata ed è l’uomo che ha una posizione di predominanza nei confronti della natura: la specie umana oramai è in grado di modificare la natura e lo sviluppo oggi ci porta a farci spazio a gomitate. L’inquinamento uccide dieci volte più delle guerre.

Un tema interessante che lei pone nel suo libro è che per combattere i rischi ambientali, oltre alle denunce, servirebbe costruire un immaginario positivo, per far capire alla gente che non bisogna avere paura di questi temi, anzi bisogna guidarli.   

Credo che dal punto di vista delle denunce sia stato fatto molto e che i risultati siano stati ottenuti, la consapevolezza di grande pericolo dal punto di vista climatico esiste ed è tangibile. Il punto è che la vecchia economia ancora riesce a fare marketing e vendersi usando la carta “truccata” della riconversione verde, pensando che questa sia sufficiente alla causa, ma in realtà non basta, bisogna saper parlare oltre che alla testa anche alla pancia, occorre costruire un immaginario positivo attorno alla questione ambientale: racconti, romanzi, documentari, libri e soprattutto marketing e comunicazione.

L’economia circolare è la soluzione che lei individua per coniugare i due aspetti della crescita e dell’ecologia: come si sta comportando la politica in tal senso?

Le ultime elezioni sono una cartina di tornasole della risposta della politica: non è che la politica non conosca l’importanza della questione ambientale, tanto è vero che l’ha inserita in quasi tutti i programmi dei partiti, ma dalle carte alle parole i concetti si sono persi ed abbiamo assistito ad un silenzio impressionante attorno alla questione. La percezione attuale della politica è che l’ambiente è un tema perdente, un tema che non porta voti, questo perché viene visto come una serie di rinunce e di no allo sviluppo. Ci devono essere proposte che funzionano economicamente ma devono avere anche idee ecologiche e sostenibili.

Cosa può fare ognuno di noi nel suo piccolo, coi suoi gesti quotidiani?

Penso che ognuno debba cercare la propria formula, non c’è ne è una magica che vale per tutti, ognuno ha delle esigenze, dei piaceri e può coniugare i vantaggi personali a quelli collettivi. Si può usare meno la macchina ed andare un po’ di più a piedi o in bici, si può dedicare un po’ di tempo per andare in mezzo ad un bosco o fare una passeggiata in montagna, oppure si possono cercare prodotti alimentari coltivati senza pesticidi, a chilometro zero e legati al territorio.

Lei è ottimista o pessimista per il futuro?

L’umanità ha dato prova di saper uscire da grandi crisi, penso che questa volta si potrà superarla se verranno trovate le giuste motivazioni.