Amico di letterati e poeti, tra cui Ungaretti, l’artista ternano si distinse negli anni in cui imperavano le avanguardie che guardavano Oltreoceano. Nelle sale espositive il suo percorso artistico e di vita, dagli esordi durante la guerra al trasferimento a Roma quando decise di dimettersi dall’esercito per intraprendere professionalmente l’attività di pittore
di Francesca Cecchini
Nell’ambito della XLV Giostra dell’Arme di Sangemini, aprirà oggi (ore 18) le sue porte al pubblico, a palazzo Vecchio, “Carlo Quaglia. Dall’India alla Scuola Romana. Opere 1943-1970”, mostra a cura di Massimo Duranti e Andrea Baffoni, con la collaborazione di Valeria Quaglia e Maria Adele Quaglia.
L’esposizione, allestita parallelamente negli spazi della Fondazione Carit di Terni (palazzo Montani Leoni), nasce con l’intento di ricordare la figura, non solo artistica ma anche umana, di Carlo Quaglia, artista ternano ma vissuto e divenuto famoso a Roma. Erede della tradizione pittorica che tra le due guerre fu della Scuola Romana – forte il suo legame nei riguardi dell’espressionismo di un Mafai e nelle cromie di Scipione – nel 1948 è già presente alla Biennale di Venezia, proprio nella storica edizione di ripresa dopo la guerra, e alla Quadriennale romana Veloce il suo ingresso nel mondo artistico, supportato da inviti importanti e non sporadici, confermati poi nel corso degli anni Cinquanta da altre due partecipazioni alla Biennale (1950 e 1954) e nuovamente in Quadriennale nel 1955. Amico di letterati e poeti, tra cui Ungaretti (che nel 1970 curò una monografia fondamentale per la sua attività), Quaglia si distinse negli anni in cui imperavano le avanguardie che guardavano Oltreoceano. Artista noto soprattutto per gli scorci della città eterna e per le facciate dei palazzi storici (gli “intonaci”), trovò confacente alla sua “maniera” l’utilizzo del rosso, codificato in questa occasione come “Rosso Quaglia”, proprio per la sua specificità, come evidenziato nel testo di Massimo Duranti all’interno del catalogo che, come di consueto, correda le mostre di rilievo realizzate durante la Giostra dell’Arme, organizzate grazie al supporto dell’Ente Giostra, Regione Umbria, Comune di San Gemini, Fondazione Carit, Rotary e con l’aiuto della famiglia Violati che mette a disposizione gli ambienti di palazzo Vecchio, il tutto con il coordinamento di Piero Zannori e anche in questa edizione con il patrocinio del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
La mostra esplora dettagliatamente l’itinerario pittorico di Carlo Qauglia, dagli esordi durante la guerra, nel campo prigionia di Yol (India) ai piedi dell’Himalaya, e prima ancora a Derna (Libia) nel 1939, e successivamente a Roma quando, con il consenso della moglie Costanza decise di dimettersi dall’esercito e di intraprendere professionalmente l’attività di pittore. A comporre l’esposizione sono circa settanta opore fra dipinti e disegni, scelti per inquadrare definitivamente l’artista, dopo l’importante rassegna organizzata a Terni nel 1992 con testo di Vittorio Rubiu. Sette le sezioni tematiche allestite: esordi in India, ritratti, natura morta, intonaci, paesaggio romano, paesaggio umbro, disegni, che permettono al visitatore di attraversare l’intensa, seppur non lunga, carriera di Quaglia. Particolarmente affascinante è la sequenza di facciate dei palazzi romani, in cui il “Rosso Quaglia” emerge in tutta la sua poesia, accompagnate dai tanti ritratti di amici e compagni di strada, tra cui alcuni toccanti ritratti realizzati nel 1943 nell’arco di tempo della difficile prigionia, e da altri in cui ritrae se stesso e artisti come Sante Monachesi o Stradone, compagni di vita e di arte. Importanti anche le testimonianze riportate in catalogo tra cui quella della figlia Valeria Quaglia che ben ricorda le vicende, anche intime, del padre cui è stata sempre accanto.
Orari di apertura: Palazzo Vecchio di San Gemini giorni feriali dalle ore 17.00 alle 24.00, festivi dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 24.00; palazzo Montani Leoni di Terni venerdì, sabato e domenica dalle ore 11.00 alle 13.00 e dalle 17.00 alle 20.00.
BIO Carlo Quaglia nasce a Terni il 17 aprile 1903. Studia presso l’Istituto tecnico commerciale per poi iscriversi al conservatorio Giulio Briccialdi dove studia musica perfezionandosi in violino. Nel 1920 si iscrive alla Facoltà di Economia e Commercio e contemporaneamente inizia a lavorare in un Istituto di credito. Nel 1925 si trasferisce a Modena per frequentare la scuola ufficiali dell’Accademia Militare, conseguendo dopo due il grado di ufficiale e intraprendendo la carriera militare. Nel 1934 viene inviato in Libia, prima a Tripoli poi a Bengasi, mentre dal novembre 1939 è in Libia, a Derna. Qui conosce Giuseppe Marchiori che lo asseconda nella sua passione per la pittura. A Derna inizia la sua carriera artistica e nel 1940 tiene la sua prima mostra collettiva nelle sale dell’albergo Etal, dove presenta quindici opere tra oli, stampe, pastelli e disegni. Dopo pochi mesi, viene catturato dalle truppe inglesi nei pressi di Agedabia e deportato in India, dove viene rinchiuso nel campo prigionia di Yol. Vi rimarrà fino al termine della guerra. Nel campo di Yol viene fondata “l’Accademia delle Molteplici Arti”, un modo da parte di medici, professori di disegno e di scienze per impiegare il tempo costruttivamente. Quaglia presenta le sue prime opere pittoriche ritraendo gente del luogo, compagni di prigionia e situazioni vissute in prima persona che espone poi al Circolo degli ufficiali inglesi del campo. Al rientro in Italia si stabilisce con la famiglia a Roma abbandonando la carriera militare per dedicarsi esclusivamente alla pittura. La sua prima personale arriva nel 1947 alla galleria Il Cortile e vede la presentazione di Domenico Purificato. Nel 1948 invia il dipinto “Porta del Popolo” alla XXIV Biennale di Venezia, la prima dopo la guerra. Partecipa anche alla V Quadriennale nazionale d’arte di Roma dove propone “Natura morta”. La frequentazione dei circoli artistici capitolini lo porta alla maturazione di un linguaggio prossimo alla Scuola romana, da cui emerge soprattutto l’influenza di Scipione per le tonalità tendenti a colori caldi e terrosi, oltre che per l’insistenza su soggetti legati a Roma. Approfondisce anche la ritrattistica con paesaggi umbri e le nature morte, giungendo a una resa sempre più lirica della realtà dove è il senso espressivo del colore, denso e corposo, a definire spazi, oggetti e ambientazioni. Nel 1950 partecipa per la seconda volta alla Biennale di Venezia esponendo nel Padiglione Italia opere come “Foro Romano”, “Acquasparta” e “Foro Italico”, mentre nel 1951 partecipa al Premio Roma per la pittura con l’opera “Ritratto di Francesca” e al II Premio Terni con un paesaggio, ottenendo il premio della Presidenza del Consiglio. Nel 1955 ottiene la cattedra di pittura all’Accademia Roma per stranieri, che terrà per circa un triennio con il collega d’insegnamento Roberto Melli. Continua però nel frattempo a esporre in gallerie private e enti pubblici, e nel 1960 inizia la collaborazione con la rivista “Figura”, prendendo nel contempo a dipingere il ciclo di opere ispirate alle facciate dei palazzi storici romani, gli “intonaci” (comprendente anche fontane, giardini, scorci di piazze e strade cittadine). La sua pittura diventa riconoscibile e il suo nome è sempre più apprezzato. In particolare, è vicino al contesto intellettuale romano e a poeti come Giuseppe Ungaretti che nel 1963 cura il volume monografico “La Roma di Quaglia” (Carlo Bestetti editore), in cui lascia una preziosa testimonianza del suo lavoro. Carlo Quaglia muore a Roma il 4 marzo 1970.