Pubblicato da Bertoni Editore, arriva in libreria “Mancati acrobati”, opera prima di Martina Pazzi. È proprio l’autrice umbra a guidarci in questo mondo surreale che si sviluppa tra le pagine del libro, dove l’io diventa noi, muovendosi sul filo instabile delle emozioni

di Francesca Cecchini

“Origami, e proiezioni”, “Narciso”, “Mancati acrobati”, “Mani di sale”, “Acini di rosario”, “Fili”, “Giardini ciechi di sole”, “Identità riflesse”, “Sabbie lunari”, “Repertoriazioni”, questi i titoli dei quadri che si susseguono in Mancati Acrobati, opera prima dell’autrice umbra Martina Pazzi, pubblicata per Bertoni Editore. Una serie di emozioni in versi emergono dalle pagine del libro donando al lettore, di volta in volta, uno scenario immaginario condiviso in cui immergersi e in cui scegliere (o meno) di vivere (o rivivere) sensazioni, sapori, odori e ricordi sopiti. Un viaggio surreale dell’io che diventa noi.

Martina ha quasi trentuno anni e nel volume troviamo il frutto della sua poesia, di quella passione covata da sempre, ma tenuta sinora timidamente per sé. Fino ad oggi. Fino al momento in cui le ha sentite “pronte”, non più solo intime e a lei vincolate, ma tanto maturate al punto di porsi in una “dimensione collettiva”.

La poesia più che la narrativa, al momento, le ha permesso di fare “un lavoro di scavo linguistico” e di “ricercare quella precisa parola in quel preciso contesto”. Versi brevi, spesso brevissimi proprio a dimostrazione di ciò. “Mi interessa molto il discorso della scrittura – ci spiega – ma anche della riscrittura, della cancellatura”. La scelta di una parola implica l’eliminazione di altre, ma nella poesia, per l’autrice, è come se questi vocaboli mancati continuassero ad interagire con quelli designati a comporre i versi, seppur ermeticamente. “Per questo amo la poesia. Come diceva Nietzsche, è un lavoro da orafo della parola”. Per farci comprendere ci mostra una poesia di soli tre versi:

Traumi

Tra un

Tra noi.

Dal punto di vista grafico “traumi” e “tra un” sono attraversate da una linea mediana. Anche con la cancellatura la parola continua comunque ad agire. “In quella poesia ho voluto mettere in luce il processo di scrittura, che mi interessa più del risultato finito”. Poesie dunque sostanzialmente “aperte” che permettono a un lettore attento di leggere fra le righe, o fra le lettere di una singola parola, storie infinite che parlano non soltanto della poetessa narrante, ma di ognuno di noi. A dimostrazione di ciò, ci sembra di cogliere un “tu” non identificabile nei versi. È sia maschile che femminile. Paradossalmente si traduce in “noi”. “È un tu – ci conferma – in cui tutti in qualche modo si possono raffigurare. “Mancati acrobati” è una raccolta che a me piace definire “un canestro di parole”. Una raccolta che racconta emozioni. Emozioni di tutti.

Dal titolo del libro arriviamo alla poesia rivolta al mancato acrobata. “Quel mancato acrobata poteva essere esteso al “tu” di tutte le poesie perché fondamentalmente questa è una raccolta su un equilibrio instabile”. Un tema molto a cuore a Martina Pazzi. “Siamo noi gli instabili, come instabili sono le nostre emozioni e le nostre relazioni con gli altri”. E ancora, la scrittrice ci parla dell’amore per Kafka. Tra i suoi racconti ce n’è uno che si intitola “Un digiunatore”. Il protagonista è un “artista della fame” rinchiuso in una gabbia per cui il digiuno estremo è una forma d’arte, motivo di attrazione circense. Nel libro di poesie il rimando a questo aspetto circense kafkiano è forte, è profondo, mai legato alla spettacolarizzazione superficiale delle emozioni, piuttosto sul filo della ricerca di un equilibrio “che però viene sempre disattesa”.

Ti sorprendo

barcollante sul filo teso

dei miei pensieri,

in equilibrio instabile.

Mancato acrobata,

erri su linee secanti

i tuoi errori.

Tu,

fuoco della mia prospettiva.

Mancati acrobati Bertoni Editore, di Martina Pazzi, illustrazioni di Sandro Natalini, prefazione di Anselmo Roveda.