Tra club di anticlericali, inganni, nozioni scientifiche e giocatori di ruolo, ‘Il mastino di Darwin’, nuovo romanzo di Alessandro Chiometti, ci porta in una Perugia immersa nel mistero in cui non tutto ciò che vediamo è come appare.
“Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti”. (Charles Robert Darwin)
di Francesca Cecchini
È una notte gelida che attanaglia Perugia ad aprire le prime pagine de Il mastino di Darwin (Dalia Edizioni), nuovo libro di Alessandro Chiometti. L’autore ternano ci conduce tra i luoghi del capoluogo umbro – dal centro storico alla periferia –, scenario di una storia tra horror e fantasy che vede protagonista Yuri, ambiguo personaggio dalle mille risposte, e Abramo, commissario che ha dedicato vita e carriera alla ricerca di un (teorico) serial killer di prostitute. Una missione che, come l’omonimo “Padre di Popoli”, lo porterà ad intraprendere un lungo viaggio. Un giro di vite ben incastrato andrà oltre l’indagine e il mero omicidio e aprirà un varco nel più ampio discorso dell’adattamento della specie e della selezione (in)naturale. Non un “semplice” romanzo, ma uno snocciolare originalmente la teoria dell’evoluzione biologica di Darwin che verrà apprezzato dal lettore non solo per il linguaggio scorrevole e piacevole, ma anche per quel senso di incertezza che porta a non dare per scontato ciò che potrebbe accadere pagina dopo pagina.
Secondo romanzo ambientato in Umbria. Il primo (Konka. Prove di Fuga e Resistenza) nella sua città natale, Terni, il secondo a Perugia. I luoghi da lei descritti sono frutto di immaginazione o, come ci sembra, una sorta di personale diario geografico dei ricordi?
Assolutamente reali in entrambi i casi. Penso che molti lettori della zona non avranno problemi a identificare un luogo piuttosto che un altro. Poi ovviamente “la provincia” italiana ha tratti comuni in tante città, ma considerando che chi scrive deve sempre conoscere i luoghi in cui ambienta le storie (una delle prime regole dello scrittore) ho scelto Terni e Perugia perché sono di certo fra le città che conosco meglio.
Perché un razionalista come lei decide di cimentarsi in un romanzo che esula dalle sue corde naturali?
“Esula” proprio non direi. La fantascienza e l’horror sono sempre stati i miei generi preferiti. Ad ogni modo l’obiettivo del romanzo è proprio quello di lanciare un invito ad usare la propria razionalità in ogni campo: da quello scientifico o storico fino alla vita di tutti i giorni. Questo non significa per forza rinunciare al trascendente ma solamente far funzionare le “cellule grigie”. A mio modo di vedere usare la propria ragione significa ad esempio non credere per forza alle “verità ufficiali” spesso di comodo, ma non per questo cadere preda del primo ciarlatano che passa. Il caro vecchio “metodo scientifico” funziona benissimo come supporto decisionale. Magari a volte ci dà risposte che non ci piacciono e che non vogliamo sentire, ma questo è un altro problema. Preciso che non per questo mi si può catalogare come “scientista”, ovvero come uno che crede ingenuamente che dalla scienza può venire solo il bene e che questa risolverà tutti i problemi. La scienza ci spiega le leggi dell’universo e ci dà uno strumento che si chiama “tecnologia” che può aiutarci a vivere oppure distruggerci, come nel caso delle armi. Come usiamo questo strumento dipende da noi.
Siamo nel giusto nell’affermare che ci sembra di ritrovare in ognuno dei suoi personaggi una sua personale caratteristica? In Yuri lo scetticismo e l’ateismo (NdR. l’autore è il presidente dell’Associazione Culturale Civiltà Laica), nell’ispettore Cantainferno la passione per il cinema (ricorrenti i riferimenti a personaggi noti del grande schermo e a Totò), in Grandoni la sua capacità di moderare le intemperanze e in Federica il suo rispetto per la vita (qualunque sia la sua natura).
Certamente si per quel che riguarda le somiglianze che lei ha trovato in Yuri e nell’ispettore Cantainferno, direi invece di no per gli altri due. Nell’ispettore Grandoni non ho messo nessun riferimento personale, o per lo meno non l’ho fatto in modo voluto. Per quanto riguarda il personaggio di Federica il discorso è più complesso; intanto non parlerei di rispetto per la vita ma di scelta darwinista nella conservazione della sua progenie. È un messaggio un po’ forte, indubbiamente. Spero di non essere “linciato” dalle donne impegnate nella lotta femminista per questo, ma la funzione materna nella protezione della progenie è di certo fondamentale per determinare la fitness di una specie e, quindi, le possibilità di evitarne l’estinzione.
Ciò, ovviamente, non vuol dire che mi schieri dalla parte dei vari movimenti anti-gender o pro-life che imperversano oggi, tutt’altro. Insomma è evidente che ci siano differenze fra i due sessi ma è altrettanto evidente che in una società civile vanno garantiti stessi diritti e stesse opportunità ad entrambi. E, aggiungo, tanto per togliere ogni dubbio, che gli stessi diritti vanno estesi e garantiti anche a chi non è riconducibile allo schema uomo-donna per qualunque motivo, fisiologico o meno.
Yuri studia le sue origini ed è ossessionato dalla ricerca di un futuro certo per la continuazione della specie. Federica conosce le sue origini ma anche lei ha bisogno – come la maggior parte degli esseri umani – di un “domani sicuro”. Quanto queste paure e speranze riflettono l’immagine della società in cui viviamo?
Se le paure di Federica sono abbastanza comuni nelle persone quelle di Yuri no. Quello che voglio dire è che non mi sembra proprio che la specie umana in questo periodo si stia preoccupando del suo futuro. Anzi stiamo correndo verso un inevitabile baratro, perché ancora seguiamo teorie economiche basate sulla “crescita infinita” che ormai, dopo la ultima crisi (che peraltro non rappresenta neanche l’antipasto di quello che ci aspetta se non correggeremo la rotta), possiamo dire con certezza che sono sbagliate. Recentemente Ferdinando Boero diceva che forse nel passato coniare la parola “ecologia” non è stato lungimirante. Se avessimo lasciato la vecchia dizione “economia della natura” forse anche qualche economista avrebbe compreso che nei bilanci bisogna mettere in conto anche i danni all’ambiente. Ci sarebbero poi altri discorsi da fare sulla nostra tendenza all’estinzione… ma ci porterebbero troppo lontano. Ad ogni modo no, non mi sembra proprio che l’H. Sapiens si preoccupi del suo futuro come specie e tanto meno di quello del pianeta, altrimenti si comporterebbe in modo diverso.
L’evoluzione biologica è uno degli argomenti portanti della storia. Perché il riferimento a Thomas Henry Huxley (il “mastino di Darwin” appunto) piuttosto che a Darwin?
Per rendere credibile la storia. Era infatti Huxley che, dopo la promulgazione della teoria dell’evoluzione, andava in giro più di ogni altro a contrastare gli attacchi che subiva in particolare dalla chiesa anglicana. Charles Darwin non era in grado di farlo, stremato da trent’anni di conflitti personali e familiari. Odifreddi nella biografia che dedica al naturalista inglese ci dice che dopo aver formulato il suo rivoluzionario pensiero, per anni Charles Darwin poteva vedere solo i familiari più stretti e pochi amici come Huxley per l’appunto. Come arrivavano ospiti nella sua casa si ritirava in bagno a vomitare. Insomma Huxley era possibile avvicinarlo ad Oxford e in altri ambienti, Darwin molto meno.
Federica sembra avere un ruolo chiave che “protegge” lo scrittore da un finale che forse non si aspetta. È una nostra percezione o un uso voluto del personaggio?
No, non è così. O per lo meno non era nelle mie intenzioni, poi ovviamente il lettore ha il diritto di trovare i messaggi che più ritiene opportuni nella storia. Ad ogni modo, secondo le mie intenzioni, la scelta darwinista di Federica rende ancora più forte il messaggio del libro. Ma attenzione, non interpretatela come un messaggio antiabortista. Questo discorso non c’entra niente, per carità. Federica è innamorata di Yuri e si fida di lui, questo, come spesso capita alle donne (ma anche agli uomini), nonostante abbia visto il proprio compagno compiere misfatti orrendi. Perché resta con lui? La spiegazione può essere complessa o semplice a seconda dei punti di vista. Io scelgo quella semplice, lei ha capito che meglio di Yuri non la può proteggere nessuno.
Vorremmo ci aiutasse ad avvicinarci a questo personaggio. Leggendo la storia personale di Federica si arriva a comprendere il perché della sua fragilità e del suo smarrimento. Questa figura ci sembra stonare con quella della donna emancipata e forte di oggi se non addirittura sminuirla. Conoscendo il suo rispetto per il mondo al femminile immaginiamo non sia questo il reale intento.
Ogni lettore spesso interpreta il messaggio del libro e i suoi personaggi in modo diverso da quello che era l’intento dell’autore. È assolutamente un suo diritto, del resto come diceva Troisi a Neruda – Philippe Noiret nel suo ultimo meraviglioso film “la poesia (e anche la letteratura) non è di che la scrive ma di chi la legge”. Detto questo, non credo che Federica sia una donna fragile, ha dei problemi personali è ovvio, ma chi è che non ne ha? Ma lei riesce a competere con una donna più bella di lei senza farsi troppi problemi e accettando anzi proponendo di iniziare un menage a trois, riesce ad imporre il proprio carattere e le proprie richieste anche di fronte ad una personalità schiacciante come quella di Yuri e alla fine riesce anche a non spaventarsi troppo di fronte alla sua incredibile natura. Insomma, fragile? non direi… così per fare un paragone, prendendo Twilight (si, lo ammetto, quella saga proprio non l’ho digerita) mi sembra molto più fragile il personaggio di Bella che non sa che “mostro” prendere.
Il finale sembra lasciare aperta una porta che però non sempre gli autori tornano ad aprire. Ci consentirà di conoscere quella che potrebbe essere l’evoluzione di una nuova specie?
Lasciare porte aperte ad ogni eventuale sviluppo è un po’ una mia caratteristica, del resto anche Konka aveva un finale “aperto”.
A me piace variare molto, chi legge i miei racconti sul sito degli Scrittori Sopravvissuti lo sa, passo dalla fantascienza al diario di viaggio con molta spregiudicatezza. Quindi per la gioia dei miei lettori (e per il terrore dei miei editori) posso dire che in questo momento per la testa ho un progetto completamente diverso su cui non mi va di dire nulla perché è in fase di studio.
Tuttavia si, il finale de “Il mastino di Darwin” l’ho lasciato volutamente aperto e ho lanciato volutamente degli input per incuriosire i lettori. Ma questo l’ho fatto anche in Konka e sinceramente non so se quando deciderò di fare dei sequel riprenderò in mano prima Fabrizio Muraglia, Nico Feliciani o Yuri Dubbois.