di Pierangiola Maglioli

Posso consigliarle un Armaleo Palazzone?

Aveva dato inizio al pranzo serale, rifiutando un prosecco, preferendogli un bianco umbro vinificato in loco. Lo aveva molto gradito. Leggermente più fermo, con un insolito retrogusto silvano. Aveva chiesto il bis. Le ci voleva. Ma come improvvisamente stanca, si arrese. Va bene – rispose illuminandosi all’idea per lei anticonvenzionale – faccia lei. Il sommellier impeccabile nel contrasto forte della camicia bianca sotto l’abito nero, le conciliò un benessere diffuso, che la musica ovattata e le luci discrete avevano già stimolato. Si affidò interamente a lui. Come d’altra parte aveva già fatto con lo chef, al momento di scegliere le portate.

Era sempre lei a decidere ogni fatto della sua vita. Quella sera si sentiva di risparmiarsi.

Chi buttava un’occhiata nel locale al momento di entrare, vedeva un’attraente donna matura, dalle curve invitanti e il sorriso dolce. La bocca bella era vivace, gli occhi di ragazza, i capelli ricci e liberi. Sola. Al tavolo in fondo all’ intima stanza. Tutti gli altri commensali, in coppia.

Si trovava a cena là per caso. I jeans stropicciati del giorno lo testimoniavano. Ma una maglietta nera, aderente e maliziosamente aperta sulla schiena in un’elica di strass e le scarpe nere con tacco, raccontavano la consapevolezza del proprio sex-appeal.

Non vide l’abilità del maître del vino. Viola lo perse di vista. Lo chef era entrato in sala per sconsigliarle gli antipasti, tenendo conto delle preparazioni scelte per lei. Mentre conveniva, improvvisamente incantata, quasi grata, sentì le sue nari prese da un aroma di paradiso e dovette distogliere la sua attenzione dal bell’uomo che nelle cucine era al lavoro per nutrirla. Il piacere di quella serata iniziò dall’odore lirico del calice posato davanti a lei.

Prima di arrivare al bicchiere, la bottiglia, scalzata dal coltellino e pulita, era stata centrata dal verme nel sughero e in due colpi stappata. Il sommellier aveva sporcato magistralmente il bicchiere e servito a Viola un nettare rubino dai riflessi blu. Sentori ferrosi e di rosmarino accarezzavano audaci il suo olfatto. Lei rimase a lungo ad annusare beata. Nella mano a conca, il vino pareva caldo. Ma non era stato decantato. Era semplicemente mantenuto alla corretta temperatura, probabilmente tra i 18 e i 20 gradi, per un rosso annata 2008.

Assaporò davanti all’uomo che attendeva il suo assenso per versare. Gli fece un cenno con la mano e liberò un lievissimo schiocco dalle labbra, coinvolta senza riserve. Si rilassò completamente, chiuse gli occhi sopra al vino che beveva. La voce forte dello chef la richiamò al piatto di riso al formaggio con un generoso nido di tartufo bianco. Per la prima volta in vita sua, gustò un riso alla temperatura esatta. Denso, mangiabile immediatamente senza scottarsi, ma caldo sotto le note forti che letteralmente dalle fettine di tubero danzavano sopra i chicchi mantecati. Era incredula della maestria del cuoco.

Viola sapeva farsi un viaggio in auto mordendo dentro a un salame e bevendo alla bottiglia un D.O.C. se la fretta lo richiedeva. Ma aveva grande sensibilità per i sapori presentati in modo eccellente.

La serata prendeva il verso giusto. Non che il pomeriggio fosse stato scarso di piacevolezze… il suo amante adorato era corso da lei e le aveva anche regalato un meraviglioso anello di “tolla” dorata, con un enorme ovale in finta ametista. Ci teneva moltissimo a quel dono simbolico. Lui era sposato, mai sarebbe stato il suo uomo. La famiglia era la sua tranquillità, il suo posto caldo. Ma Viola era la sua libertà, la amava e venerava come una Dea. Non erano semplici amanti, si amavano di un reale amore che non potevano praticare. E l’anello lo rappresentava. Lussuoso, ricercato, luccicante senza brillantini, sfolgorante solo di luce riflessa dall’oro sobrio e dalla pietra liscia. Pazzo da portare al dito così vistosamente falso. Purtuttavia così reale e corposo. Avevano fatto l’amore a sorpresa nella camera sui tetti medievali. Non avrebbero nemmeno dovuto incontrarsi. Almeno una volta ogni due settimane, dalla sua regione lontana da quella di lui, tentava di lasciarlo. Lei che lo avrebbe sposato, seguito in capo al mondo, preso indecentemente anche davanti ad altre persone. Di lui era affranta, persa nei suoi capelli lunghi di cavaliere, imprigionata nel suo sguardo cangiante, ammaliata dal suo essere così infedele e tenacemente legato a lei. Lui che sapeva bere così bene il vino insieme a lei di persona o nello stesso momento collegati al PC. Lui che non poteva darle una sera e una notte. E la faceva impazzire di desiderio per le ore notturne che non le erano concesse e la lasciava sola come sempre per la cena, in una sconosciuta terra accogliente.

Nella sala, dentro alle sfumature d’ombra delle applique, i signori presenti la guardavano furtivamente. Era bella dell’amore scambiato fisicamente con il suo amante, era luminosa del loro sentimento. Clandestino e vero.

A metà portate, il bello chef  le dedicò un piatto creato sul momento per lei, indovinando al millesimo i suoi gusti. Era, quell’uomo oltre la quarantina, grande con tanti riccioli chiari, imponente come ogni cuoco dovrebbe essere, con immense e sensibili mani e occhi che osavano. Presero a flirtare allegramente mentre i piatti si rivelavano un banchetto dei sensi e il vino confortava Viola senza che lei sapesse neppure per cosa.

A tarda sera, tutti ritornati a casa, solo lei si fermò a bere uno Zacapa, versato con disinvolta eleganza. Non serve un sommeiller per lo Zacapa sentenziò l’uomo in nero. Poi anche lui e l’aiutante di cucina se ne andarono. Viola, sistemata alla scrivania dello chef, bevendo conversava con lui, personalità ricca e interessante. Vennero ad un argomento, all’incirca qualcosa sulle caratteristiche di lui e Viola se ne uscì con si vede che tipo sei. L’uomo, si allontanò un momento per scegliersi un Whisky ricercato. Ritornando, le impose “Hai detto che vedi che tipo sono… allora che tipo sono?” Lei, presa alla sprovvista, cercò le parole, ma sembrava non trovarle. Lui insistette fissandola “No. Hai detto che sai che tipo sono… adesso me lo dici”. Divertita lo fissò bene in faccia anche lei e concluse Uno che sa stare bene.

Sì sto bene adesso e tu stai bene?– rispose in fretta sottovoce l’uomo. Si chinò ad annusare il suo rum, “Non mi piacciono i rum, troppo dolci” e le descrisse il sapore del suo liquore, dall’insolito aroma di quercia e muschio, alitandole in viso per farglielo conoscere. Lei alzò il volto e le loro bocche si trovarono vicine. D’impulso, leccò l’umido sulle labbra sensuali dell’uomo. “Sì sto bene” gli disse, accarezzando sotto la cintura un altro uomo sposato in cerca di libertà.