Ci sono confronti particolarmente ricchi e proficui; possono avvenire tra esseri umani, ma anche tra opere d’arte, create a distanza di secoli l’una dall’altra. È il caso, ad esempio, della bellissima opera dell’artista belga Jan Fabre, esposta, dal 30 marzo scorso, a Napoli, al Pio Monte della Misericordia, nell’ambito della mostra “Oro Rosso. Sculture d’oro e corallo, disegni di sangue”.

di Teresa Lanna

L’esposizione, allestita al secondo piano del Museo e Real Bosco di Capodimonte, fa parte di un progetto che, oltre a Capodimonte, coinvolge altri tre storici luoghi napoletani: la chiesa del Pio Monte, appunto; e, inoltre, il Museo Madre e lo Studio Trisorio.

L’opera è “The man who bears the cross” (‘L’uomo che sorregge la croce’), 2015.

La scultura, esposta nella chiesa fino al 30 settembre 2019, si pone in dialogo diretto con il capolavoro di Caravaggio Sette opere di Misericordia (1606-1607).

Realizzata in cera, è un autoritratto dell’artista che tiene in bilico, sul palmo della mano, una croce di oltre due metri. In realtà, la scultura ha i tratti somatici dello zio di Jan, Jaak, cui Fabre ha voluto rendere omaggio per averlo sempre appoggiato nel suo continuo lavoro di ricerca e creazione nel mondo dell’arte.

In verità, l’opera rappresenta ognuno di noi che, ieri con Caravaggio ed oggi con Fabre, non ha mai smesso di porsi domande sul senso dell’esistenza.

I personaggi della tela caravaggesca da una parte e l’uomo di Fabre dall’altra, infatti, sembrano relazionarsi con quella croce di legno, che a tratti par essere pesante, ma che, alcune volte, dà l’impressione di incontrare la leggerezza data dalla misericordia divina, invocata e percepita dall’uomo di fede.

Ma la grandezza di un’opera d’arte consiste soprattutto nell’uso di un linguaggio comprensibile a tutti, fornendo, a ciascuno, una risposta agli innumerevoli quesiti dell’esistenza. A quegli interrogativi che, forse, non saranno mai risolti del tutto, ma il cui senso si trova più facilmente se si alza lo sguardo verso la croce. Proprio come fa l’uomo di Jan Fabre.

Il confronto tra il linguaggio seicentesco di Caravaggio e quello contemporaneo fiammingo di Fabre innesca, così, nuove riflessioni, segnando un ideale passaggio di testimone tra passato e presente e ponendo, in futuro, altri dubbi e quesiti a cui l’uomo cercherà di dare sempre una risposta, tra la terra e il cielo.